L’odore
più bello? Quello del pane che cresce in un forno a legna. Il sapore più buono?
Quello del pane caldo irrorato d’olio d’oliva (senza dimenticare il pane
bollito, che non è roba da vecchi cadenti, ma una squisitezza che conforta lo
spirito).
Ho
visto centinaia di volte fare il pane da nonne e zie e da mia madre, che ancora
lo fa e, quand’ero piccola, ho avuto la fortuna d’entrare più d’una volta nel
forno sotto il lastrico a raccogliere,
sui mattoni ancora brucenti, le briciole del pane biscottato.
Nello
stanzone di fronte, c’erano ancora le madie antiche, utilizzate da più
generazioni di nonne che avevano trasformato in pane la farina sudata dai loro
mariti, che avevano seminato e mietuto e trasportato poi il grano ai mulini
(chilometri a piedi, i sacchi sugli asini e, durante la guerra, tempeste di
bombe sulla testa), aiutati, anche dai figli più piccoli, al momento della
raccolta, nel vento caldo della prima estate.
Non metto mai il pane
sottosopra, sarebbe come offendere mio padre, che lo considerava un gesto
insopportabile di disprezzo verso una fatica sacra e, se mi capitasse di dover
gettare un tozzo ammuffito, non potrei farlo – perché così mi hanno insegnato –
se non dopo averlo baciato.
E’ davvero un bel titolo
quello dell’ultimo libro di Carmine Abate.
Questa la mia recensione su
Zoomsud, http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/56756-recensione-il-bacio-del-pane-di-carmine-abate.html
Una diecina di ragazzi, intorno ai sedici,
diciassette anni, di cui sei “più affiatati: Bruno il Romano, Vittorio il
Milanese, Emilia la Germanese, Marta la Fiorentina, figli di coppie nostrane o
miste, che ogni anno tornavano in vacanza giù da noi, e infine Mauro e io, nati
e cresciuti a Spillace”. Le vacanze estive in un paese della Calabria, la sveglia a mezzogiorno e la corsa al mare, con
le Vespe, nel primo pomeriggio, le notti accaldate nella piazzetta col
Monumento ai caduti, la gita in un luogo magico: “oltre la barriera di tamerici
e oleandri dai fiori sgargianti, fummo risucchiati nel ventre fresco del
Giglietto. Là in fondo, proprio al centro di una parete concava, splendeva come
un miraggio la cascata. (…) Fu allora che prese il sopravvento la voce del
Giglietto, un fruscio di foglie ritmato dal canto degli uccelli e delle cicale,
da sibili e bisbigli misteriosi, dal fragore della cascata. A tratti, negli
interludi della melodia, si insinuava un silenzio improvviso, come la pausa
calcolata di un’orchestra. Pochi attimi, ma sufficienti per farmi sentire
davvero nel paradiso terrestre, circondato da amici veri, a due passi da Marta
che ogni tanto alzava gli occhi dal libro per incontrare il mio sguardo. Ero
felice, avrei voluto urlarlo al mondo intero”.
Non è solo il reciproco, tenero, innamoramento a
segnare l’estate della crescita di Marta e Francesco, ma l’incontro,
imprevisto, con un uomo che al Giglietto si nasconde e che a poco a poco
racconta loro la sua storia, di calabrese emigrato a Milano che crea un’impresa
edilizia, ma, sottoposto a pressioni e ricatti della ‘ndrangheta, fino
all’uccisione del fratello suo socio, aveva prima risposto con dignità e
coraggio, e poi aveva cercato, rifugiandosi nel luogo dove, da giovane capellone,
aveva vissuto l’estate più felice, solitudine e sicurezza.
A facilitare l’amicizia tra i due ragazzi e
Lorenzo, il pane di casa fatto dalla madre di Francesco, “«un pane da
resuscitare i morti, non quella specie di spugna inodore che si compra nei
supermercati» diceva mio padre”: “L’uomo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni
un coltellino svizzero, appoggiò il pane all’altezza dello sterno e con la lama
più lunga ne tagliò due fette. Quando si abbassò per mettere il pane nel
sacchetto, una delle fette gli cadde per terra sollevando una nuvoletta di
polvere. L’uomo la raccolse subito, con apprensione. «Buttatela via, è tutta
impolverata» gli consigliai, convinto che volesse mangiarla. Lui mi guardò con
uno sguardo di disapprovazione: «Il pane non si butta così, come una pietra
senza valore. Il pane è vita, ci vuole troppa fatica per farlo». Diede un bacio
sul lato pulito della fetta e andò a posarlo sotto il fico, dove becchettavano
affamati tre o quattro uccelli. Poi concluse: «Il pane va rispettato»”.
Il bacio del pane di Carmine Abate, dal 27
agosto in libreria, è un romanzo di formazione delicato, con i toni quasi di un
apologo lieve: l’amore, la solidarietà, il rispetto della propria e altrui
dignità, il coraggio come lievito che fa crescere il bene, diventando pane che
nutre e fa crescere, i singoli e la comunità.
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