C’è un progetto, di quelli di cui mi occupo nel
corso dell’anno scolastico, che consiglierei ad ogni scuola, ma di cui, sebbene
da taluni insistentemente richiesta, parlo poco e scrivo meno.
Il Laboratorio politico Roberto Dinacci è
nato a Nisida da una necessità e da un desiderio. La necessità è quella di
consentire a ragazzi che dello Stato conoscono bene ciò che non funziona (le
periferie degradate della città, la scuola che ha difficoltà a integrare i più difficili,
la capacità di perseguire più gli scalcagnati che i davvero delinquenti
ecc. ecc.) un confronto sulle tematiche della cittadinanza attiva con
personalità pubbliche (uomini e donne dei partiti, delle istituzioni,
dell’economia, della cultura). Il desiderio è quello di onorare, mantenendone
costantemente vivo il ricordo, Roberto Dinacci, tragicamente morto a meno di
trenta anni, che, arrivato a Nisida come membro della segreteria particolare
dell’allora ministro all’Innovazione, Nicolais, per seguire il progetto
100Napoli, era “diventato dei nostri”, offrendoci un esempio concreto di quella
stupenda espressione di Paolo VI, secondo cui “la politica è l’espressione
suprema della carità”.
Dal 2008 al 2013, al Laboratorio di Politica
hanno partecipato in tanti, dal presidente della Repubblica, Napolitano e dalla
presidente della Camera, Boldrini, a politici di diverso colore, persone che ha
lottato contro la camorra, intellettuali. Per ogni incontro, un gran lavoro di
preparazione (spiegare ai ragazzi chi avrebbero incontrato, provare a far
emergere le prime domande, quelle per rompere il ghiaccio, prima di lasciare il
dibattito al libero fluire delle domande e delle risposte con l’interlocutore
di turno) e un gran lavoro successivo (sulle reazioni da ciascuno suscitate).
Alcuni, da cui ci aspettavamo interventi interessanti, ci hanno deluso; altri,
di cui avevamo un’opinione meno alta, ci hanno sorpreso positivamente. Qualche
intervento è entrato davvero nella nostra memoria collettiva, di qualche altro,
come capita sempre, bisogna fare uno sforzo non da poco a ricordalo.
Nell’insieme, un progetto di spessore, un’esperienza utilmente ripetibile in
ogni scuola.
Eppure, non mi sento di metterla globalmente in
chiaro in un piccolo saggio (i piccoli racconti, su questo o quel momento li ho
fatti). Ogni tanto ci provo, ma desisto.
Per due motivi per me di immediata evidenza.
Perché la documentazione che ne ho raccolta non è omogenea (di alcuni incontri
abbiamo registrazioni e foto, di altre appunti e foto, di qualcuna mancano le
immagini e cosi via; e, ancora, le personalità coinvolte, alcune “scelte”,
molte “trovatesi” più o meno per caso dalle nostre parti sono troppo diverse,
per professione, impatto pubblico ecc. ecc.) e perché non vorrei, eventualmente,
prestarmi ad un uso propagandistico-elettorale di questo o quest’altro
intervento.
E per un motivo per me ben più cogente. Al di là
dei singoli interventi e delle singole persone – alcuni ed alcune davvero
belli/e – la mia sensazione è stata sempre più quella di una distanza –
talvolta sofferta, talaltra rassegnata – tra la Domanda – per quanto confusa e
strumentale – e la Risposta – per quanto onesta e sincera – sulla Giustizia.
Giustizia intesa come sforzo d’attuazione dell’articolo 3 della Costituzione:
il più bello, quello della tensione ad avvicinare la quotidianità dei poveri
cristi all’ideale di una società che, spezzando i vincoli della solitudine,
riesce a integrare tutti. Una difficoltà pressoché generale a dare carne e
sangue a parole senza suono.
Sull’argomento, rimando ad un intervento simile su Zoomsud:
http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/55954-come-l-aria-e-il-pane-il-bisogno-della-politica.html
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