“Ma di che cosa non sono capaci le donne calabresi? Se fossi
al governo le nominerei, in massa, cavalieresse del lavoro (non è una
ingiustizia che tale onorificenza sia riservata ai soli uomini?), così come un
re di Napoli, per i suoi fini politici, nominò baroni tutti i crotonesi e tutti
i cittadini di Tropea cavalieri…”
Così in Donne e
industrie in provincia di Reggio Calabria (1907) Clelia Romano Pellicano,
marchesa di Gioiosa, calabrese non di nascita ma di scelta (matrimoniale), una
delle prime giornaliste italiane, autrice di romanzi e racconti, grande
fautrice del voto e del lavoro delle donne.
Torno ad occuparmi di lei (avevo
trovato affascinanti, tempo fa, le sue descrizioni delle donne impegnate alla
produzione della seta) dopo che, su fb, mi è stato fatto osservare, in seguito
ad un mio pezzo sul prossimo (28 gennaio) duecentesimo anniversario di Orgoglio e pregiudizio che, è vero che
la Calabria non ha prodotto una Jane Austen, ma che pure qualche voce “letteraria”
al femminile c’è stata anche nel Sud d’Italia (forse non è inutile chiarire che
il discorso riguarda non l’epoca contemporanea, ma quella moderna, tra la metà
del Settecento e l’inizio del Novecento).
Dato a Clelia quanto le spetta,
resta il fatto che zia Jane – “good quiet aunt Jane”, secondo il nipote Edward
Austen Leigh – resta “l’artista più perfetta tra le donne”. Incommensurabile.
Infinita.
Quella che leggi e rileggi e ti
chiedi com’è riuscita a fare dei suoi “piccoli ricami su una tela d’avorio di
pochi centimetri” qualcosa che, mutati profondamente società e ruolo delle
donne, continua ad essere la voce che più di tutte piace ascoltare.
Rimando ai seguenti articoli su Zoomsud:
http://www.zoomsud.it/commenti/7876-la-marchesa-di-gioiosa-un-po-socialista-femminista-convinta.html
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