I suoi cassetti erano accozzaglie disordinate di biancheria intima e gli armadi avevano strani impilamenti di coperte, maglioni, camicie e pantaloni, disposti – neppure lei avrebbe saputo spiegar come – in verticale: bastava un niente per far tracollare tutto. Due o tre volte l’anno, Rosetta metteva in ordine e ne usciva soddisfatta dal vedere come la ricomposizione dello spazio sembrasse dare alle sue cose nuova aria. Ma durava poco. Nella quotidianità, già l’idea le pesava: avendo già troppe (auto)costrizioni della mente, l’ordine in casa sarebbe stato una goccia intollerabile.
Rosetta non ricordava neppure tutto ciò che aveva e si stupiva, mentre tirava fuori un maglione, di ritrovare una bella camicia usata solo una volta o una gonna comprata chissà quando. Sapeva, però, che in fondo al terzo, dall’alto, cassetto interno dell’armadio, avvolti in una tovaglia di tela, c’erano tre fazzoletti di lino, dal finissimo ricamo. Piccoli quadrati di stoffa che più che all’inizio del secolo scorso appartenevano agli ultimi anni di due secoli fa ultima traccia di una sua bisnonna che l’aveva avuti in dote dalla suocera, arrivata nel reggino dal bovese. Sapeva, anzi, che di quei fazzoletti, non ne rimaneva che uno.
Aveva sempre fatto molti regali, Rosetta. Fin da ragazza, quando – non avendo nulla da poter comprare – la domenica raccoglieva mazzolini di violette o fiorellini di campo per portarli la mattina dopo alla compagna di classe con cui parlava di più. Lo faceva con uno spirito in cui l’omaggio all’amica si confondeva con il desiderio di farsi accettare: come se le fosse necessario pagare un pedaggio per ricevere attenzione.
Crescendo, quando si trattava di regali dovuti, nascondeva il fastidio scegliendo qualcosa che le non piaceva granché, magari un libro di successo di un autore che non amava. Ma più spesso bastava che le si rivolgesse una parola, un’impercettibile cortesia, per farle nascere l’urgenza di un regalo importante e costoso: scelto con estrema cura e carico di valenze simboliche. E, una volta che iniziava, si sentiva in obbligo di continuare: perché il contrario le sarebbe sembrato come mettere fine a quella relazione.
Era ormai adulta quando una collega – che, in omaggio ad un piccolo favore, s’era ritrovata un anello d’oro bianco con incastonata una perla – le fece osservare che la sua eccessiva generosità metteva a disagio. Ne ebbe uno shock che la portò a non gettarsi sempre, immediatamente, in una girandola di regali d’indubbia importanza.
In due occasioni, però, non era riuscita a frenare l’impulso a dare qualcosa di sé, privandosi, con i due fazzoletti, di una parte del suo passato perché due amiche in difficoltà potessero cogliere il conforto di un di più di bene. Era successo, ad alcuni anni di distanza, ma sempre d’ottobre, quando il cielo reggino è così dolce che in certi giorni il cuore si fa morbido più di un cachi maturo – che, non per nulla, il dialetto chiama al femminile: ‘a cachissa. In entrambi i casi, consapevole che stava compiendo un gesto incauto e di cui si sarebbe potuta pentire, ma quasi certa anche che quegli oggetti, in famiglia, avevano un valore solo per lei, che lei sola avrebbe pagato lo scotto di una perdita.
Disperse, poi, le due amiche, più d’una volta Rosetta s’era sentita afferrare al petto da una fitta immedicabile per aver così sprecato un ricordo di famiglia che avrebbe dovuto lasciare alla generazione successiva. Amarezza nei confronti di chi l’aveva delusa e rabbia verso se stessa s’erano col tempo stemperati. Ma quel piccolo vuoto, quella mancanza continuava a lhttp://www.zoomsud.it/commenti/41071-torna-anche-qil-giudice-meschinoq-ma-la-calabria-non-sa-.htmlavorare in sottofondo nella sua mente. Come una talpa che scavava gallerie. O un veleno che, iniettato a piccole dosi, prima d’accorgersene, t’ha ormai debilitato.
Di tanto in tanto le tornava in mente un monito evangelico. E, sebbene sentisse esagerato applicarlo al suo caso, tanto che mai l’avrebbe detto a voce alta, in un silenzio chiuso a qualsiasi moto di muscolo, quasi urlava contro di sé completando: “non date le perle ai….”
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