Ho
sempre avuto una grande passione per la Costituzione italiana. Non ho mai particolarmente
amato l’articolo 1. Avrei evitato il “fondata sul lavoro”. Se proprio bisognava
darle una fondazione, avrei detto: “fondata sulla Costituzione”, ovvero sulle
regole democratiche che il Paese si stava, finalmente, dando.
La
faccenda del “lavoro” l’ho sempre sentita, negli accordi perfetti dei suoi
principi, in qualche modo, con un sotteso di “stonato”.
Innanzi
tutto perché, comunque, ci sono (saranno) sempre intere categorie che non
lavorano (anche se hanno, magari, già lavorato o, si spera, lavoreranno,
vecchi, malati, bambini).
Poi,
perché ho avuto modo di pagare sulla mia stessa pelle le garanzie non date a
chi ufficialmente non lavora, ovvero lavora senza percepire stipendio, rispetto
a chi ufficialmente lavora, ovvero percepisce uno stipendio. E oggi troppi
giovani, preparati e competenti, non hanno – checché ne pensi chiunque –
NESSUNA possibilità di lavorare, con enorme spreco sociale della loro intelligenza,
sensibilità ecc.: una STRAGE nazionale di proporzioni non inferiori alla morte
dei giovani nella prima e seconda guerra mondiale.
Tre,
perché non ho mai del tutto capito il fatto che delle due maledizioni bibliche –
il “lavorerai col sudore della fronte” rivolto agli uomini” e il “partorirai
con dolore” rivolto alle donne – il lavoro sia via via diventato un’affermazione
di “autorealizzazione” e la maternità una “limitazione” della stessa. Oggi,
poi, che le donne non possono avere né l’uno né l’altro…
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