Erano le diciassette e diciannove quando Anna spense il motore. Chiuse per un attimo gli occhi e respirò forte. Era stato un azzardo, per lei guidatrice solo di piccoli tratti cittadini, affrontare l’autostrada, ma tutto s’era rivelato più semplice di quanto si aspettasse. Allentata la tensione, le cadde addosso una grande stanchezza. Portò dentro i bagagli, accese il riscaldamento, fece una doccia, bevve una tazza di tè, inzuppandoci dei biscotti e si mise a letto. Si svegliò presto e, lentamente, si riappropriò della casa. Ci mancava dall’estate, ma Mariuccia – la signora di mezz’età che da anni l’aiutava nelle faccende quando tutta la famiglia vi si trasferiva per qualche giorno – l’aveva tenuta in ordine. Anche il cortile, che affacciava su un agrumeto – vi si vedeva ancora qualche arancia e, in un angolo, era tutta fiorita la mimosa – era ben spazzato.
Anna viveva in un affollato condominio in una cittadina del centro Italia. Pensionata da pochi anni, era vedova da due. Il figlio, Walter, lavorava in Inghilterra; la figlia, Giulia, era ricercatrice in Germania. Non aveva nipoti. Quando aveva cominciato a sospettare che tutto il paese sarebbe stato chiuso per l’epidemia da coronavirus, aveva pensato che ritirarsi all’estremo sud nella casa tra la campagna e il mare ereditata dai genitori sarebbe stata una buona scelta.
Al di là del cortile, a pochi passi dalla sua casa, viveva Giovanna. Erano state compagne al liceo, ma erano diventate amiche quando le vecchiaie malate dei rispettivi genitori le avevano portate a condividere le esperienze di una non facile cura. Giovanna non s’era mai sposata e viveva con tre gatti, che la seguivano di stanza in stanza e dormivano ai piedi del suo letto.
Cominciarono a vedersi ogni giorno, per qualche ora, a metà mattina. Le parole facevano da filtro alle preoccupazioni dei giorni, richiamavano ricordi, ancoravano ad una prospettiva. Cominciarono a pranzare insieme la domenica. Per Pasqua, prepararono insieme la pastiera.
La sera, quando restavano sole nelle loro case vicine, in ciascuna si faceva più pressante la malinconia del passato interrotto e il rimpianto del futuro mancato. Che non ci fossero né ci sarebbero stati bambini a dare voce al cortile era la pena, inespressa, che accompagnava le notti. Poi, al nuovo mattino, Anna e Giovanna rammendavano il cuore in un sorriso fino a credere esse stesse che potevano arrivare, anche quel giorno, alla fine del giorno.
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