Dopo anni e anni di femminismo, di massiccia presenza delle donne e del loro mondo nella narrativa mondiale, di un “potere” delle donne che, nonostante i limiti (vedi presenza delle donne di sinistra nell’attuale governo), è decisamente più alta che in decenni passati, com’è che un libro come Appunti per me stessa di Emilie Pine, edito da Rizzoli, (massimo premio letterario irlandese) colpisca tanto?
Non è un romanzo e neppure un memoir; piuttosto una confessione in sei capitoli. Precisa, tagliente. Il suo ripercorrere, spogliandosi completamente nelle sue pagine alcuni aspetti della sua vita – il rapporto con i genitori, l’adolescenza dissoluta, la difficoltà con il proprio corpo, la ricerca della maternità e l’aborto spontaneo, i disturbi alimentari, la violenza sessuale e il sessismo anche nelle parole – mette qualunque lettrice, almeno per un aspetto, di fronte alle difficoltà, alle ferite, alle vulnerabilità del proprio diventare donna.
Il taglio da cui emerge il dolore sanguinante di ognuno di questi aspetti è quello che consente all’autrice di prendere in mano la propria esistenza, di conoscersi in un abbraccio che non annulla i vuoti e gli errori, ma li inserisce nella definizione di se stessa. La scrittura come terapia, la pubblicazione come atto che, piuttosto che portare, come anche ipotizzato, a nuova vulnerabilità produce, nel suo caso, nuova forza.
In un mondo che mai ha visto le donne così libere e pure oggetto di tanta pressione sociale (mediatica) su come devono essere, un invito ad ascoltarsi: a riconoscere chi ognuna è e vuole essere. (Messaggio che, pari pari, vale per gli uomini):
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