Il report “I giovani ai tempi del coronavirus” condotto da Ipsos per Save The Children dà alcune cifre di un fenomeno che è immediatamente evidente a tutti. La pandemia – e, come si direbbe in Calabria, “non ci vuole la zingara per indovinare la sorte” – ha aggravato pregresse condizioni di povertà materiale ed educativa, portando ad un sensibile peggioramento della vita di troppi minori: sia quella presente, sia, in ipotesi, quella futura, se non si interviene in maniera urgente e intelligente per evitare l’incancrenirsi dei danni.
È incredibile come ci si occupi con così poca attenzione sociale dei minori – anche in considerazione del fatto che per la loro crescente “rarità” dovrebbero essere particolarmente curati.
Non so se qualcuno l’ha studiato o lo farà, ma mi piacerebbe sapere se, come e quanto, la pandemia è stata ed è – a parità di condizioni sociali, familiari, affettive – più pesante per i figli unici rispetto agli altri. Temo che, nell’imposta solitudine di questi mesi, l’essere rimasti a casa solo con adulti, preoccupati della situazione, con problemi di lavoro e di altri adulti magari lontani, senza una possibile condivisione continua di paure, tensioni, attese con i loro pari sia stata, per loro, particolarmente pesante.
Alla fine della pandemia arriveremo con ancora meno nascite. Quanto, questo dato, influirà nella spinta al futuro, nella capacità di ri-costruire il mondo? Quando indebolirà la fantasia, il coraggio, la forza dello sguardo in avanti?
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