domenica 10 gennaio 2021

Cosarelle: Madri

 


Uno. 

Dopo una notte di tempesta, il mare era grigio, ma striato da pallide lame di luce di un sole annebbiato. Lucia camminava sulla spiaggia, assorta in un dolore buio. Sua madre era morta da quindici giorni. Nel loro legame, c’erano radicate tutta la sua forza e la sua debolezza. Mai, Lucia era stata in grado di uccidere simbolicamente la madre in lei e, questo, aveva limitato di molto la sua libertà. Non aveva avuto bisogno della morte reale della madre per saperlo. Si chiedeva – l’aveva sempre fatto, ma ora di più – quanto male avesse fatto lei a sua figlia. Dopo decenni di presenza – eccessiva? – nella vita di Carlotta, Lucia s’era via via ritirata nel suo guscio. Con la figlia non erano rimasti che rapporti superficiali, nessuna parola che andasse al di là della concretezza del visibile. Eppure Lucia si chiedeva se una sua assenza totale non avrebbe messo Carlotta in condizioni di libertà che lei non era mai riuscita a conquistarsi. Nulla taglia il cuore di una donna quanto il dolore che gli viene da un figlio. Ma nulla rovina la vita di un figlio quanto una madre. L’eccesso di presenza delle madri è più deleterio dell’assenza dei padri. Lucia era arrivata a queste conclusioni da tempo. Guardava il mare e si chiedeva se non fosse il momento di farlo. Entrare in acqua, cominciare a camminare fin quando l’acqua l’avesse sommersa e soffocata. Liberare, se non il mondo, almeno la figlia dalla sua presenza.

 

Le Cosarelle prendono il posto delle Microstorie



Due*

Erano rimaste sole. La figlia vedova da cinque anni. La madre da due. La figlia aveva una figlia. Dopo il matrimonio di sua figlia, la figlia aveva continuato a lavorare tre anni, fino alla pensione, nella città in cui entrambe vivevano. Per Natale, mentre la figlia della figlia era andata a passare le vacanze all’estero a casa dei suoceri, la figlia era andata a trovare la madre, pensando di restarci qualche mese: c’erano degli aggiusti da fare nell’appartamento. L’epidemia aveva resa quella che pensava una permanenza temporanea un trasferimento pressoché definitivo. La madre sembrava trarre da quell’inattesa convivenza buon appetito e umore sereno. La figlia s’era rapidamente ingrigita di capelli e d’animo. La malinconia, di cui era intrisa fin da piccola, virava spesso verso una disperazione tenuta a freno dietro parole composte, ma che esplodeva nel battito forsennato del cuore che voleva e non poteva uscire da una gabbia che sentiva sempre più stretta. Avrebbe continuato a occuparsi della madre –che sarebbe vissuta a lungo, troppo a lungo, fino a consumarla. Nel futuro non c’era nulla più di questo. Nulla che potesse essere legato ad una speranza di novità. Sentiva la sua vita finita. E tirava i giorni avvitandosi nel rispetto dei suoi doveri. Con nei pensieri la voglia di morire o che morisse la madre. Il primo giorno caldo di primavera, mentre la figlia rigovernava la cucina, la madre uscì di casa, vestita troppo pesante e senza niente in testa. Il sole era alto e pieno, la luce abbacinante. Cominciò a camminare fino a quando cadde svenuta davanti alla casa di persone che, riconoscendola, la ricondussero nella sua. Si riprese presto. Ci aveva provato a liberare la figlia dalla sua presenza, ma non c’era riuscita.

 
*27 febbraio 2021


 

 

 

 

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