domenica 16 febbraio 2020

Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari




Ancora un bambino al centro di un romanzo italiano.

Dopo i bambini napoletani di Viola Ardone (Il treno dei bambini), Roberto Andò  (Il bambino nascosto) e Massimiliano Virgilio (Le creature), un bambino milanese, Ninni/Piero, raccontato dalla prima infanzia al liceo in Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari, già direttore Libri Mondadori e ora, a settantasei anni, all’esordio narrativo con questo romanzo a forte sapore autobiografico pubblicato da Feltrinelli.
 
Un libro di impianto molto tradizionale, che, per quelli della mia generazione è un ripasso e per i più giovani, magari una scoperta di molta quotidianità degli anni cinquanta e sessanta. Anche quella della nostra scuola, della sua straordinaria importanza nei primi decenni successivi alla seconda guerra mondiale.

Ninni, che anche in casa ha madre e nonna insegnanti, racconta dei suoi maestri e professori, dal maestro Poli, che gli insegna a fare i riassunti e a scrivere un tema alla professoressa del ginnasio, che li massacra a latino e greco – «Il greco, meraviglioso e maledetto, ha in sostanza solo verbi irregolari, con i tempi formati su radici diverse, fino a tre» – E la scoperta non solo della fondamentale importanza, ma anche del godimento dell’apprendere: «Come in ogni forma di ginnastica, anche in quella mentale il fattore decisivo è l’allenamento. Quasi con meraviglia vedeva la sua mente allenata acquisire man mano agilità, saltare i passaggi, andare alle conclusioni. Sentiva la muscolatura mentale irrobustirsi, diventare flessibile, costruire lo spazio in cui nascono e si sviluppano quelle facoltà che usualmente si ritengono innate e che invece si accorgeva essere il frutto di applicazione e di esercizio. L’intuito, la fantasia. Nel mezzo di quella dura fatica sentì nascere dentro di sé capacità e modi d’essere nuovi. Era sempre stato molto aiutato da una gran memoria, fuori dall’ordinario. Adesso però cominciava a comprendere che un conto è immagazzinare e un altro è vedere le analogie, le somiglianze. E un altro ancora, tutto diverso, è far funzionare una macchina mentale. Un problema matematico, una dimostrazione geometrica, ma anche una traduzione dal greco o dal latino, non sono questioni né di memoria né di capacità analogica. Conta risolverli, individuare e padroneggiare la meccanica nascosta. Per la prima volta, e confusamente, capì il piacere che poteva derivare da quello che solo alcuni anni dopo avrebbe saputo chiamarsi pensiero astratto. Si trattava anche qui di crescere, come nello sviluppo fisico, come nel sesso. Si sentì rinfrancato. Lui cambiava. Poco forse, forse da fuori non si vedeva, però stava diventando un altro. Questo gli piaceva molto, voleva dire che la prigione in cui si trovava non sarebbe durata in eterno. Era ora, pensò, di diventare quel che voleva essere. Di capire dove voleva andare e muoversi, decidersi. »

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