Ancora un bambino al
centro di un romanzo italiano.
Dopo i bambini napoletani di Viola Ardone (Il treno dei bambini), Roberto Andò (Il bambino nascosto) e Massimiliano Virgilio (Le creature), un bambino milanese, Ninni/Piero, raccontato dalla prima infanzia al liceo in Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari, già direttore Libri Mondadori e ora, a settantasei anni, all’esordio narrativo con questo romanzo a forte sapore autobiografico pubblicato da Feltrinelli.
Dopo i bambini napoletani di Viola Ardone (Il treno dei bambini), Roberto Andò (Il bambino nascosto) e Massimiliano Virgilio (Le creature), un bambino milanese, Ninni/Piero, raccontato dalla prima infanzia al liceo in Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari, già direttore Libri Mondadori e ora, a settantasei anni, all’esordio narrativo con questo romanzo a forte sapore autobiografico pubblicato da Feltrinelli.
Un libro di impianto
molto tradizionale, che, per quelli della mia generazione è un ripasso e per i più
giovani, magari una scoperta di molta quotidianità degli anni cinquanta e
sessanta. Anche quella della nostra scuola, della sua straordinaria importanza nei
primi decenni successivi alla seconda guerra mondiale.
Ninni, che anche in casa
ha madre e nonna insegnanti, racconta dei suoi maestri e professori, dal
maestro Poli, che gli insegna a fare i riassunti e a scrivere un tema alla
professoressa del ginnasio, che li massacra a latino e greco – «Il greco,
meraviglioso e maledetto, ha in sostanza solo verbi irregolari, con i tempi
formati su radici diverse, fino a tre» – E la scoperta non solo della
fondamentale importanza, ma anche del godimento dell’apprendere: «Come in ogni forma di
ginnastica, anche in quella mentale il fattore decisivo è l’allenamento. Quasi
con meraviglia vedeva la sua mente allenata acquisire man mano agilità, saltare
i passaggi, andare alle conclusioni. Sentiva la muscolatura mentale
irrobustirsi, diventare flessibile, costruire lo spazio in cui nascono e si
sviluppano quelle facoltà che usualmente si ritengono innate e che invece si
accorgeva essere il frutto di applicazione e di esercizio. L’intuito, la
fantasia. Nel mezzo di quella dura fatica sentì nascere dentro di sé capacità e
modi d’essere nuovi. Era sempre stato molto aiutato da una gran memoria, fuori
dall’ordinario. Adesso però cominciava a comprendere che un conto è
immagazzinare e un altro è vedere le analogie, le somiglianze. E un altro
ancora, tutto diverso, è far funzionare una macchina mentale. Un problema
matematico, una dimostrazione geometrica, ma anche una traduzione dal greco o
dal latino, non sono questioni né di memoria né di capacità analogica. Conta
risolverli, individuare e padroneggiare la meccanica nascosta. Per la prima
volta, e confusamente, capì il piacere che poteva derivare da quello che solo
alcuni anni dopo avrebbe saputo chiamarsi pensiero astratto. Si trattava anche
qui di crescere, come nello sviluppo fisico, come nel sesso. Si sentì
rinfrancato. Lui cambiava. Poco forse, forse da fuori non si vedeva, però stava
diventando un altro. Questo gli piaceva molto, voleva dire che la prigione in
cui si trovava non sarebbe durata in eterno. Era ora, pensò, di diventare quel
che voleva essere. Di capire dove voleva andare e muoversi, decidersi. »
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