Per il Riformista Napoli, parlo di lettura, del
perché si legge poco, di come invertire questo dato, di che cosa si perde non
leggendo con Viola Ardone, Maurizio de Giovanni e Patrizia Rinaldi. È un tema
che mi appassiona e, con passione, ne parlano i miei interlocutori.
Ognuno di loro accentua
un elemento importante. Per la mia esperienza a Nisida, con ragazzi del tutto
digiuni di lettura, a me sembrano decisivi, come metodo, la lettura a voce alta
dell’insegnante o di chi per lui/lei e, come obiettivo/ricaduta, il
moltiplicarsi dei punti di vista, il superamento dell’unidimensionalità dello
sguardo.
Naturalmente, la
conversazione – di cui ringrazio di cuore i miei interlocutori – non è stata
esaustiva e non ha potuto trattare di tutto ciò che di bene comporta la lettura
e di male la sua assenza.
Due aspetti mi sembrano
di particolare importanza, uno per così dire pubblico e uno privato (nel
senso non di mio personale, ma di personale di ciascuno che legge).
Il primo. Che la
maggioranza dei politici italiani (con le debite eccezioni) non legga, mi
sembra di tutta evidenza. Se leggessero un po’ di saggi di economia, di storia,
di varie scienze, sarebbero più capaci. Se, nel corso di un anno, trovassero il
tempo di leggere anche quattro-cinque romanzi di buon livello, lo sarebbero
ancora di più.
Il secondo: leggere
insegna stare da soli. In una società
così esteriorizzata, così social e così poco sociale, la lettura insegna a stare dentro se stessi, ad abitare
le proprie emozioni, a collegare i fili di un pensiero proprio. A rompere l’isolamento
che è contro natura e può, però, tranquillamente convivere con l’essere folla, ed affrontare la solitudine, che è l’inevitabile
condizione di molte scelte decisive della propria esistenza.
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