“Vedi, quella
è l’Istria… quella la Croazia… dietro quelle montagne c’è l’Austria.”
Siamo al castello di San Servolo in Slovenia, sotto di noi
Trieste è bellissima nella luce limpidissima di una domenica d’autunno.
Visti da qui, i quattro stati verso cui lo sguardo riesce ad
allungarsi sono azzurro e verde, montagne e mare: pura bellezza, senza confini.
D’altra parte, il confine che abbiamo attraversato per salire
fin qui non è che un cartello con su scritto “Slovenia”, niente di diverso da
quello che, risalendo l’autostrada, segna l’arrivo in “Basilicata” e poi in “Campania”.
Non siamo lontani da quella “pietra/del San Michele/così
fredda/così dura/così prosciugata/così refrattaria/così totalmente/disanimata”,
potente metafora ungarettiana dell’atrocità della prima guerra mondiale.
È verde, adesso, il Carso pietroso che conobbe mio nonno, uno
dei “ragazzi del Novantanove”, premiato poi con la medaglia d’oro di “cavaliere
di Vittorio di Vittorio Veneto”.
L’emozione di questi luoghi coglie in quel punto profondo del
cuore dove il silenzio è verità dell’essere.
Penso che niente, nei prossimi mesi, sarà più importante che
schierarsi a favore dell’Europa: diversa, sì, da ora, ma ancora più unita.
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