Bianca Pitzorno
l’ho vista una volta a Recoaro, una trentina d’anni fa circa, ad un concorso
per bambini, guidato da – meraviglia – un “assessore alle favole”. Avevamo a
casa tutti i suoi libri e mia figlia si mise in una lunga fila per parlarle. Le
scrisse, poi, alcune osservazioni, e – ancora una meraviglia – Bianca Pitzorno
le rispose.
È anche per questo
ricordo gentile che, quando ha iniziato a pubblicare libri per adulti, ho
cominciato a leggerla anch’io.
Il suo ultimo, Il sogno della macchina da cucire,
recentemente pubblicato da Bompiani, ricostruisce la vita di una sartina,
durante le prime fasi del Regno d’Italia, e lo fa su un doppio livello: quello
storico (le pesanti differenze sociali tra ricchi-poveri, la subordinazione
delle donne agli uomini, i bordelli statali istituiti da Cavour) e quello
emozionale di una ragazza che vuole – e non è per nulla facile – mantenersi col
proprio lavoro, che cerca di migliorare le proprie condizioni, attenta a non
fare passi azzardati, consapevole della sua debolezza sociale.
Nel libro della
Pitzorno, il mestiere della sartina –
abbastanza presente, con toni a forte carica romantica, nella narrativa
ottocentesca, e ormai scomparso nelle modalità con cui è stato esercitato nel
secolo scorso – è il nerbo di un racconto volutamente pedagogico, così fresco,
asciutto e sincero che l’autobiografia non sembra un espediente letterario.
Libro senza tempo,
da consigliare soprattutto alle ragazze: di ogni età.
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