Caterina
aveva poco meno di cinque anni quando il terremoto del 1908 cambiò la sua vita.
Bambina felice, rimasta orfana dei genitori e dei due fratellini, Gioacchino e
Domenico, andò in eredità, insieme al pezzo di terra ch’era stato di suo padre,
alla zia Teresa e a suo marito Fortunato, detto Nato. Zia Teresa s’era sposata
da poco e aspettava il primo figlio, cui seguirono, in pochi anni, altri
cinque. Ne rimasero vivi tre: abbastanza perché Teresa e Nato esaurissero con
loro ogni possibile attenzione. A Caterina, man mano che cresceva, venivano
accresciuti i compiti da serva.
A
diciassette anni, mentre alla sena pungolava l’asino che faceva girare i
secchi, venne osservata da un piccolo possidente quarantenne, che la chiese in
moglie, offrendosi di sposarla senza dote.
La
proposta sembrò più che buona a zia Teresa e a zio Nato. Caterina accettò don
Giacomo come avrebbe accettato grandine e vento: era quello che le toccava in
sorte. Avrebbe anche potuto andarle peggio: con don Giacomo non le sarebbe
mancato da mangiare.
Nella
casa nuova, Caterina continuò a fare la serva: del marito, del suocero e di due
sorelle di don Giacomo, donna Serafina e donna Teodora: zitelle, che la guardavano
con sufficienza se non con astio perché loro la dote ce l’avevano, anche se il
marito no. Lo sguardo di sufficienza aumentò quando Caterina partorì i primi
due figli perché, dicevano, non era riuscita a fare il maschio e non si attenuò
quando di maschi, di seguito, ne arrivarono tre.
Per
volontà di don Giacomo, Pietro, Eugenio e ‘Ntoni furono affidati alle cure
delle sue sorelle per avere l’educazione che competeva a chi doveva farsi
strada come padrone. Quanto alle femmine, bastava che tenessero sguardo basso e
bocca chiusa e imparassero a ricamare la dote per trovare, a tempo giusto,
marito.
Quando
dieci anni dopo la nascita dell’ultimogenito, nacque Margherita, le zie, troppo
vecchie per occuparsene, la lasciarono alle cure di Caterina. Caterina la riempiva
di baci e di premure. Le zie mormoravano, ma lasciarono fare. Sarà
che porta il nome di sua madre, si dissero (L’avrebbe dovuto portare la seconda
– alla prima toccando il nome della madre del marito – ma il suocero aveva
imposto quello di una sua sorella).
Crescendo,
Margherita mostrò capelli e occhi più chiari degli altri. Ma né donna Serafina né donna Teodora né, tantomeno, don
Giacomo sospettarono mai che Margherita fosse figlia di Nicola, il fattore di
casa. La moglie di Nicola, che figli non ne aveva, continuò a pensare che la
strana affezione del marito per l’ultima figlia del padrone fosse il segno che
a don Nicola si sarebbe accontentato anche di una sola femmina pur di essere
padre.
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