lunedì 17 settembre 2018

A Rosella Postorino con Le assaggiatrici il Campiello 2018




 Rosella Postorino con Le assaggiatrici, edito da Feltrinelli, ha vinto il Campiello.
Questa la mia recensione del libro, pubblicata, a gennaio 2018, su Zoomsud

«Entrammo una alla volta. Dopo ore di attesa, in piedi nel corridoio, avevamo bisogno di sederci. La stanza era grande, le pareti bianche. Al centro tavolo di legno su cui avevano già apparecchiato per noi. Ci fecero cenno di prendere posto. Mi sedetti e rimasi così, le mani intrecciate sulla pancia. Davanti a me, un piatto di ceramica bianca. Avevo fame. Le altre donne si erano sistemate senza far rumore. Eravamo dieci. (…) “Mangiate,” dissero dall’angolo della sala, ed era poco più che un invito, meno di un ordine. (…) “Mangiate!” ripeterono dall’angolo, ma io avevo già succhiato un fagiolino e avevo sentito il sangue fluire sino alla radice dei capelli, sino alle dita dei piedi, avevo sentito il battito rallentare. (…) Il mio corpo aveva assorbito il cibo del Fuhrer, il cibo del Fuhrer mi circolava nel sangue. Hitler era salvo. Io avevo di nuovo fame.»
Le assaggiatrici di Rosella Postorino, recentemente pubblicato da Feltrinelli, narra la vicenda di una ex segreteria berlinese, Rosa Sauer, trasfigurazione letteraria di Margot Wolk, assunta, durante la seconda guerra mondiale, come assaggiatrice dei cibi cucinati per Hitler, nel quartier generale di Wolfsschanze, la cosiddetta Tana del Lupo, nella Prussia orientale. Un incarico teso tra il privilegio di mangiare, e di mangiare cibi succulenti, mentre per tutti gli altri il cibo, anche il più povero, scarseggia e il timore, ogni volta, di morire avvelenata.
Rosa non è nazista. Non lo erano i suoi genitori, oramai morti, anzi il padre, fervente cattolico, era molto critico nei confronti del regime. Né lo è il marito, ingegnere, arruolatosi nell’esercito tedesco, e neppure i suoceri in casa dei quali si è trasferita. Persona qualunque all’interno di un feroce regime totalitario, alle prese con i suoi traumi di abbandono e perdita, la sua necessità di essere vista per sentirsi viva, e il bisogno di un po’ d’amore («una bocca che non morde»), Rosa, semplicemente, si piega agli eventi. Consapevole di una marginalità che è, anche, la sua unica difesa, cerca solo di non farsi del tutto sopraffare.
La paura, il senso di vergogna e di colpa, le danno un perenne spaesamento e, nello stesso tempo, aguzzano il suo sguardo. Non parla molto, ma, nel continuo monologo con se stessa, Rosa legge con precisione le reazioni del suo corpo e guarda, senza giudizio, le sue compagne, che, quaranta anni dopo, racconterà a se stessa così: «(…) una ragazza con la couperose, una donna con le spalle larghe e la lingua lunga, una che aveva abortito e un’altra che si credeva una maga, una ragazza fissata con le attrici del cinema (…) mi ero fidata di un tenente nazista ... lo stesso che io avevo amato. Non ho mai detto nulla, e non lo dirò. Tutto quel che ho imparato, dalla vita, è sopravvivere.»
Con Le assaggiatrici, Rosella Postorino – nata in Calabria e residente a Roma, editor Einaudi e autrice di libri importanti, da L’estate che perdemmo Dio a Corpo docile – firma il suo romanzo più bello e maturo.

Una narrazione piana e uno stile cristallino per un libro che fortemente coinvolge e turba il lettore, per quanto aduso a testi che scandagliano il nazismo. Una voce originale, sottile e incisiva. Un’armonia di linguaggio che, per contrasto, fa ancora più luce sull’orrore del cadente nazismo. Una trama lineare, che sorprende per la ricchezza di sfumature, per il tono su tono che dà rilievo agli eventi. Uno sguardo insieme spietato e pietoso su una domanda che, in fondo, attraversa anche i nostri giorni: fin dove l’adattamento ai tempi diventa complicità, trasformando gli uomini in esseri inumani.

Le parole della Postorino sembrano effettivamente essere quelle, silenziose, chiuse nella mente della protagonista. La puntuale analisi psicologica della protagonista, dall’infanzia alla morte del suo ex marito, con tutte le sue ombre, i segreti, i silenzi, è, infatti, tutta assorbita in una narrazione di grande sobrietà e limpidezza: di verità umana e letteraria. La voce di Rosa Sauer resta addosso al lettore e lo accompagna ben oltre la fine del libro.
Già acquistato da numerosi editori stranieri, Le assaggiatrici si candida fin da ora, se non al migliore, certo ad un uno dei migliori libri italiani del 2018. Non è difficile pronosticare che resterà nel tempo.


Su Zoomsud sono state recentemente pubblicate le seguenti mie recensioni:





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