Filippo si è svegliato alle sette. Già nell’ultimo sonno, prima ancora di aprire gli occhi, aveva cominciato a invocare: coccodè, coccodè e mi ha costretto ad alzarmi per non lasciarlo correre da solo, ancora mezzo addormentato, nel pollaio.
Da quando ci siamo
trasferiti in questa nuova casa (ci staremo d’estate), ho una stanza tutta mia.
In quella di fronte, dormono Filippo e Tommaso: mia madre vuole che le porte
restino aperte in maniera che, se lei non c’è, io senta se si svegliano, se
hanno bisogno di qualcosa.
I miei genitori, e
anche i miei nonni e pure i miei zii, coltivano la terra, hanno grano e
castagneti, allevano pecore, capre, maiali, polli, conigli. Mamma e papà
lavorano i formaggi e li vendono, insieme alle uova e alla carne, a negozi e
nei mercatini. Anche Filippo e Tommaso si occupano degli animali. Le galline
sono il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera per Filippo. E
Tommaso, quando non sta a mangiare, lo trovi sempre dietro alle capre. La sua
prima parola, dicono, non è stata mamma, ma pecora e con le pecore parla come
se fossero suoi compagni di gioco. Soprattutto con un agnellino bianco, che s’è
fatto comprare ad una fiera di paese.
La domenica, mamma
e papà, si alzano alle quattro per raggiungere il capoluogo, e tornano che è
già pomeriggio, ma tutta la loro settimana è una corsa: al pascolo, alla
fattoria, all’azienda. Mamma, poi, fa, su ordinazione, anche pane, maccheroni,
ravioli, gnocchi. Lavora sempre e, altrimenti, non saprebbe vivere. È veloce e organizzata:
mentre fa una cosa, ne fa altre dieci. È bella, più di qualche mamma di qualche
mia compagna, che va dal parrucchiere ogni sabato. Ed è anche divertente:
lavora come se non le pesasse e fa sembrare gioco tutta le fatica dei giorni.
Su una parete
della cucina, ha scritto: In questa casa, siamo sinceri, facciamo errori,
diciamo mi dispiace, diamo seconde possibilità, ci divertiamo, ci abbracciamo,
perdoniamo, siamo pazienti, facciamo molto rumore, ci amiamo. Ed è la verità.
Mi prende in giro,
mamma, perché, a differenza di lei, non ho senso pratico. Ma è un prendermi in
giro, affettuoso. In fondo è lei che m’ha cresciuto, come dice papà, da
principessa. Io, con gli animali, non ci metto mano. Mi occupo solo, ogni
tanto, dei cani (ne abbiamo cinque, di razze e taglie diverse: il mio preferito
è un cagnolino bianco, un batuffolo di lana che pare uscito da una pubblicità),
e sempre di Miciabella, la gatta che cammina storta dopo che il cane Ballo l’ha
morsa alla colonna vertebrale. Lei è la mia preferita, mi piace prenderla in
braccio, come se fosse un peluche.
Ma poiché tutti in
casa abbiamo un compito, il mio è dare una mano a pulire, aiutare in cucina e
occuparmi di Filippo e Tommaso quando mia madre non c’è.
Devo mettere
sempre una maglietta rossa a Filippo in maniera che lo si scorga da lontano
quando sta al pascolo con Tarik, che sta noi da sette mesi e viene da lontano:
è un rifugiato, sempre gentile, ma nei suoi occhi c’è sempre un po’ di
tristezza: forse sorriderà di più quando lo raggiungeranno la moglie e i figli.
E devo sempre controllare che Tommaso indossi gli stivali e non mangi troppo
pane.
Filippo non ha
ancora tre anni e Tommaso quasi cinque e mi immagino che, da grandi, avranno un
allevamento più grande: chissà, forse creeranno una vera e propria industria,
ma con metodi artigianali, la cura per la singola pezza di formaggio di mio
padre. A scuola, però, se la passeranno male: loro che tutto il giorno non si
fermano mai.
A me, invece, la
scuola piace. L’anno prossimo andrò al liceo, poi non so. Quello che ho deciso
è che, qualunque lavoro farò, scriverò. Ho scritto un giallo, anzi alcuni
racconti gialli che hanno per protagonista un poliziotto inglese. Londra non
l’ho mai vista, ma ho cercato su Google maps le vie dove ambientare le mie
vicende.
Ci penso, alle mie
storie, mentre lavo i bagni o pulisco la cucina e mi sembra di essere d’essere
un’altra persona, non so una sorellina piccola di Agata Christie. Certe volte
mi siedo sul terrazzo – questa casa sta come al centro di una piccola valle,
con intorno colline verdeggianti – e immagino altre storie: d’amore e
d’avventura. Finché non arriva Filippo con un uovo bianco in una mano e uno
rossiccio nell’altra: e, senza parlare, la frangetta che gli copre gli occhi
come una tendina, me li mostra contento: come fossero le sue palline da gioco.
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