Il pulmino che da Africo ci riporta a Bova scende per tornanti di
bellezza travolgente. Vallate e strapiombi, luoghi di miti e magie, il mare all’orizzonte
che mescola verdi e azzurri in sfumature struggenti. C’è qualcosa di
primordiale e insieme di lontanissimo futuro in questo paesaggio di rocce
brulle, vacche e pecore che pascolano, odori di erica, menta e origano
selvatici, curve da perdere il respiro che mai affronterei alla guida.
Davanti a noi un altro pulmino e qualche macchina. È l’ultima discesa dei
partecipanti, ad Africo, della tre giorni di Gente in Aspromonte, dedicata alla nuova narrazione della Calabria.
Siamo accaldati e stanchi, ma molto felici d’esserci stati. Qualcuno dice che
soffriremo di mal d’Africo: nello
scherzo, si nasconde un bel po’ di verità.
Perché è stata una grande occasione per parlare dell’attuale narrazione della Calabria, in
letteratura, nel cinema, nell’informazione. Un tema complesso, che sottende
domande dalle risposte non scontate: la Calabria è cambiata? Sì, no, quanto,
abbastanza, troppo poco? C’è ancora un pregiudizio nei nostri confronti? Perché
si è prodotto? Come può essere scalzato? È cambiato o no il modo di raccontarsi
dei calabresi e il modo di raccontare la Calabria da parte del resto degli
italiani?
Il dibattito sotto due grandi querce, ha visto decine e decine di interventi (otto donne
intervenute in tutto, compresa l’assessora alla Cultura, meno di un decimo di
quelli che hanno preso la parola): per gli organizzatori una bella sfida ad una
buona sintesi.
Chi, come me, ha ascoltato tutti gli interventi (e dato la sua opinione)
con un senso di profonda gratitudine di esserci, torna a casa con rinnovata
energia. Quella dei luoghi (l’Aspromonte che mai bisognerebbe dimenticare di ripetere
non è un monte aspro, ma un monte bianco, luminoso). Quella delle persone che
si confrontano con passione rispettosa. Quella del prendere atto, magari con
stupore, che – nonostante quello che una parte dell’Italia, che lo dica o meno,
pensa di noi, ovvero che siamo un territorio perso e nonostante le nostre più
pessimistiche convinzioni e la lunga sequela di critiche che facciamo a noi
stessi – siamo vivi e ancora vita vogliamo generare.
In una fase in cui le vicende del paese non inducono certo all’ottimismo,
sentire come linfa vitale il dovere di rispondere alle urgenze della propria
terra è un dono inatteso e prezioso.
Ripreso da Zoomsud il 31 luglio:
http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/103692-i-tre-giorni-sulla-narrazione-ma-il-mal-d-africo-e-un-grande-dono
Ripreso da Zoomsud il 31 luglio:
http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/103692-i-tre-giorni-sulla-narrazione-ma-il-mal-d-africo-e-un-grande-dono
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