Sono cresciuta in
un tempo in cui c’era Dio. Non che
tutti credessero in Dio, né che si comportassero come si deve. Ma tutti, che ci credessero o no, e comunque si
comportassero in
privato, pubblicamente si inchinavano al bene. Ipocrisia ce
n’era tanta. Ma l’ipocrisia, che dice il falso su se stessi e, quindi, è
moralmente riprovevole, proclamando il bene, ne riconosce, appunto, il valore.
Il mio mondo, che,
come per ogni bambino, si identificava con l’universo intero, si divideva in
cattolici e comunisti, con una piccola parte di fascisti. Con l’esclusione di quest’ultima
fetta, caratterizzata da una maggiore ristrettezza del pensiero, i primi due
gruppi divergevano sulla valutazione dei provvedimenti del governo, sugli
scioperi da fare o non fare, magari, ma neppure sempre, sulla partecipazione
alla processione della Madonna della chiesa parrocchiale: ma, in fondo, la loro
visione della vita era, se non identica, molto simile. I cattolici temevano un
giudizio dopo la morte: e, anche quando non li applicavano, dicevano ogni bene
dei valori del bene. I comunisti temevano anche loro un giudizio: magari non di
Dio, ma della storia, dei compagni e si comportavano alla stessa maniera.
Oggi, Dio l’abbiamo perso. Non è in dubbio la
fede di alcuni singoli e neppure l’operosa generosità in suo nome di questo o
quel gruppo, ma Dio non fa più parte dell’orizzonte comune. A livello pubblico,
non esiste né Lui né una fede in Lui né una fede che, per quanto eretica,
traeva l’idea di giustizia sociale, di uguaglianza, di solidarietà da una
visione sostanzialmente religiosa della
vita.
Non voglio dire
che il passato sia meglio del presente. Vale un po’ per tutte le epoche,
l’incipit de Le due città di Dickens: «Era il tempo migliore e il tempo
peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della
fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle
tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione.»
Ma mi chiedo se
l’imbarbarimento dei nostri giorni, il disprezzo, il rancore, la volgarità
crescenti non trovino le radici più profonde in questa perdita di sacralità
dell’esistenza, forse, più precisamente nel fatto che il cristianesimo, nelle
sue forme ortodosse ed eterodosse (chiesa cattolica e partito comunista) sia
diventato culturalmente marginale nella nostra società.
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