Ho avuto la fortuna di
vivere, oggi, l’emozione della commemorazione di Eduardo al Senato, dove alcuni
miei ragazzi hanno recitato brevi passi tratti da La Grammatica di Nisida.
E stasera, a Nisida, sempre alla presenza
di Luca, una più ampia recita tratta dallo stesso volume.
La recensione di Conchita Sannino su La Repubblica del 25 ottobre 2014 |
Quale sia il legame tra Eduardo
e gli ultimi libri prodotti a Nisida, ho provato a sintetizzarlo in questa nota:
In
una delle sue tante visite a Nisida, ai ragazzi che gli chiedevano di fare
qualcosa per loro, Eduardo de Filippo rispose: “Ve lo prometto. Vi prometto che
farò qualcosa perché voi possiate uscire dalla vostra situazione. Tutti vi
condannano, ma io non vi condannerò. Io vi assolvo”. Ci fu un silenzio forte,
intenso. Ed Eduardo continuò: “Io vi assolvo, perché siete stati costretti, vi
hanno messo con le spalle al muro”.
Non
intendeva certo, così, giustificare il
reato, negando la responsabilità personale di ciascuno, bensì richiamare con
forza l’attenzione sulle problematiche sociali, economiche, culturali che al
reato possono portare. Cosa che fece anche nell’aula del Senato chiedendo
all’Assemblea di prendere concretamente a cuore la sorte delle migliaia di
ragazzi, la cui barca – disse – fa acqua da tutte le parti, riparando le carenze dannose, anzi catastrofiche che interi territori del paese ancora vivevano (e
vivono).
Da
quando Eduardo enunciò al Senato la sua idea di un Villaggio dei giovani, comunità di formazione lavorativa e umana,
tantissime cose sono cambiate in meglio, a partire dall’entrata in vigore del
nuovo Codice penale minorile, ma molto resta ancora da fare.
Gli
scritti dei ragazzi – da cui sono nati gli ultimi due volumi pubblicati a
Nisida, La Grammatica e La Sintassi di Nisida – sono, come ha osservato Conchita Sannino su La Repubblica, “discorsi di vita (…)
traiettorie che, quasi senza volerlo, mettono in scena il ritratto di una
Napoli senza cittadinanza sociale e civile”.
In
Ognuno è il luogo in cui nasce, ovvero Il Decimo Racconto de La Grammatica è espresso con particolare
chiarezza il senso della drammatica separazione tra un ragazzo di Nisida e la
società nel suo complesso: «Avevo sei, sette anni, e, a scuola, le maestre e le
mamme già mi guardavano male e dicevano: chillu
è cammorrista. Io ero solo un bambino buono e bravo. E pure timido. Non
sapevo ancora quello che pure voi sapete. Si nasce in certi quartieri, si
appartiene a una certa famiglia e la vita tua è segnata. (…) Ci sono persone
che si divertono a giudicare, non sapendo niente delle vite nostre e delle
sofferenze che ognuno di noi è costretto a provare, anche quando non ha nessuna
colpa, prima ancora di sapere distinguere il bene e il male. Che male avevo
fatto io, bambino? A meno che non volete dire che la mia colpa è stata nascere.
Il cognome è come un marchio ed è difficile far capire che anche noi siamo
persone normali e non sempre c’entriamo con gli sbagli dei nostri familiari (…) Quanto allo Stato, vorrei far capire ad
alcuni suoi esponenti che non bisogna giudicare o parlar male di persone senza
aver subito le cattiverie, i pregiudizi e le sofferenze che quelle hanno
provato. Lo Stato dovrebbe entrare nel fondo di ogni persona, non deve basarsi
solo ed esclusivamente sul cognome che porta o dell’ambito familiare in cui si
trova, questa per me è una sconfitta e mi ha fatto perdere ogni fiducia in
qualsiasi istituzione. Se dovessi scegliere se affidarmi allo Stato o alla camorra,
mi dispiace dirlo, ma non sceglierei nessuna di queste due cose, mi affiderei
solo a me stesso».
I Racconti della Grammatica e della Sintassi sono
intrisi della vita dei ragazzi e delle ragazze di Nisida, della loro infantile
innocenza e del loro adulto cinismo, della corazza dell’indifferenza e dell’amaro
disincanto, della loro rabbia serpeggiante e della loro angoscia nascosta.
È
molto importante che i ragazzi di Nisida, più abituati all’azione irriflessa che
al pensiero meditato, possano trovare proprio nella civiltà delle parole,
grammatica e sintassi di ogni positiva convivenza, canali di scorrimento della
propria sofferenza, creta per rimodulare i confini della propria esperienza e
abbozzare l’ipotesi che il futuro non necessariamente è già scritto. Le loro
parole impongono a tutti quelli che, con diversi ruoli, hanno responsabilità
sociali di essere ascoltate. Perché nessun ragazzo deve crescere senza
un’effettiva cittadinanza sociale e
civile.
Questa è la poesia di
Ernesto F. proposta in entrambe le recite:
NONNO EDUARDO
Ti
chiamiamo Nonno noi ragazzi
di
Nisida perché ti amiamo
con
tutto il cuore.
Sei
stato pure tu vivace
e
pieno d’amore
vivendo
di pensieri e di gloria.
Ora
che non ci sei più
ti
pensiamo di più,
tu
che ci hai dato tanti consigli
e
belle parole.
Ti
ricordiamo camuffato da Pulcinella
con
quello sguardo pieno
di
malinconia.
Noi,
forse, seguiremo i tuoi consigli:
sei
stato un grande uomo.
Con
tanto affetto e tanto amore
ad
un uomo ormai svanito
i
ragazzi di Nisida
ti
portiamo sempre nel cuore.
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