martedì 14 ottobre 2014

La recensione di A. Calabrò a "Parole come Pane. La Sintassi di Nisida"





Questa è la recensione di Antonio Calabrò, per Zoomsud, di Parole come Pane. La Sintassi di Nisida. Il libro, il 23 settembre, ha ricevuto il secondo premio del Premio Siani.

Il libro è una raccolta di racconti scritti dai ragazzi dell’Istituto Penale per Minorenni di Nisida, curato da Maria Franco, educatrice ed insegnante nello stesso. Il valore del libro si spinge ben oltre il suo significato letterario, tra l’altro sorprendentemente piacevole: è in realtà la dimostrazione compiuta di quanto il linguaggio influisca sui pensieri e sulle azioni di ciascuno.
La costruzione della realtà è il frutto di un sistema culturale, che trova il suo fondamento nella capacità di comprendere e descrivere tutto ciò che sta attorno. Zagrebelsky ha detto : “il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia: più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica.”
Gli scrittori del libro provengono tutti da situazioni di assenza: mancanza di parole, mancanza di possibilità, mancanza di comprensione delle regole civili. Assenza che si è spesso trasformata in inferno, in dolore struggente che, proprio a causa di questa incapacità di essere descritto, si è tradotto in azioni criminose. Nel momento in cui a questi giovani è stata offerta la possibilità di apprendere, ecco immediatamente scattare in loro la consapevolezza, che non significa a forza redenzione o pentimento, bensì recupero del tratto umano essenziale, che è l’atto del comunicare. E, con esso, della capacità critica, e quindi della ragione.
La follia schizofrenica del mondo contemporaneo è un riproposizione su larga scala dell’Istituto di Nisida. I più deboli pagano le colpe di tutti, le galere puliscono le nostre coscienze, sono il tappetino sotto il quale nascondere i rifiuti. La rigidità delle menti semplici continua a distinguere buoni e cattivi, mentre si dovrebbe categorizzare usando come parametro l’empatia. Il mondo è perduto, ma, improvvisamente, nei racconti dei giovani, drammaticamente intrisi di nostalgie per qualcosa di mai avuto, si accende la luce.
Bravi, bravissimi gli scrittori. Autentici come pochi. Gli unici scrittori vivi, con qualcosa di autentico da raccontare, con delle emozioni palpabili da difendere. Diceva E. Bunker che gli unici consapevoli della realtà sono i carcerati, perché “vedono” le sbarre. Ed aveva ragione.
La grammatica e la sintassi restituiscono umanità. Lo smarrimento del gesto criminale, in un sistema fondato su ingiustizie e disparità estreme, appare poca cosa rispetto al crimine assoluto dell’abbandono e dell’inquadramento consumista. Basterebbe poco a scongiurarlo, e quel poco deve forzatamente passare dalla capacità comunicativa. La criminalità è la critica pura alla società contemporanea, che produce solo e soltanto vittime. Vittime di una solitudine fatale.
Il pane è l’emblema del riscatto. Il pane non è un alimento gastronomico. Il pane è la somma di tutto ciò che serve per vivere sereni. Il pane è la metafora della concordia. Non a caso.
Il libro è illuminante e godibile. L’operazione è meritoria ed esemplare. Maria Franco, con la sua costanza, la forza delle sue idee, la sua cultura accademica forgiata in quel mare glaciale di dolore che è un carcere minorile, merita di trasformarsi in aggettivo: Nisidiana. Non troviamo lode migliore.

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