Questa è la recensione di Antonio Calabrò, per
Zoomsud, di Parole come Pane. La Sintassi
di Nisida. Il libro, il 23 settembre, ha ricevuto il secondo premio del
Premio Siani.
Il libro è una raccolta di racconti scritti dai
ragazzi dell’Istituto Penale per Minorenni di Nisida, curato da Maria Franco,
educatrice ed insegnante nello stesso. Il valore del libro si spinge ben oltre
il suo significato letterario, tra l’altro sorprendentemente piacevole: è in
realtà la dimostrazione compiuta di quanto il linguaggio influisca sui pensieri
e sulle azioni di ciascuno.
La costruzione della realtà è il frutto di un
sistema culturale, che trova il suo fondamento nella capacità di comprendere e
descrivere tutto ciò che sta attorno. Zagrebelsky ha detto : “il numero di
parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo
della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche
idee, poche possibilità e poca democrazia: più sono le parole che si conoscono,
più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica.”
Gli scrittori del libro provengono tutti da
situazioni di assenza: mancanza di parole, mancanza di possibilità, mancanza di
comprensione delle regole civili. Assenza che si è spesso trasformata in
inferno, in dolore struggente che, proprio a causa di questa incapacità di
essere descritto, si è tradotto in azioni criminose. Nel momento in cui a
questi giovani è stata offerta la possibilità di apprendere, ecco
immediatamente scattare in loro la consapevolezza, che non significa a forza
redenzione o pentimento, bensì recupero del tratto umano essenziale, che è
l’atto del comunicare. E, con esso, della capacità critica, e quindi della
ragione.
La follia schizofrenica del mondo contemporaneo è
un riproposizione su larga scala dell’Istituto di Nisida. I più deboli pagano
le colpe di tutti, le galere puliscono le nostre coscienze, sono il tappetino
sotto il quale nascondere i rifiuti. La rigidità delle menti semplici continua
a distinguere buoni e cattivi, mentre si dovrebbe categorizzare usando come
parametro l’empatia. Il mondo è perduto, ma, improvvisamente, nei racconti dei
giovani, drammaticamente intrisi di nostalgie per qualcosa di mai avuto, si
accende la luce.
Bravi, bravissimi gli scrittori. Autentici come
pochi. Gli unici scrittori vivi, con qualcosa di autentico da raccontare, con
delle emozioni palpabili da difendere. Diceva E. Bunker che gli unici
consapevoli della realtà sono i carcerati, perché “vedono” le sbarre. Ed aveva
ragione.
La grammatica e la sintassi restituiscono
umanità. Lo smarrimento del gesto criminale, in un sistema fondato su
ingiustizie e disparità estreme, appare poca cosa rispetto al crimine assoluto
dell’abbandono e dell’inquadramento consumista. Basterebbe poco a scongiurarlo,
e quel poco deve forzatamente passare dalla capacità comunicativa. La
criminalità è la critica pura alla società contemporanea, che produce solo e
soltanto vittime. Vittime di una solitudine fatale.
Il pane è l’emblema del riscatto. Il pane non è
un alimento gastronomico. Il pane è la somma di tutto ciò che serve per vivere
sereni. Il pane è la metafora della concordia. Non a caso.
Il libro è illuminante e godibile. L’operazione è
meritoria ed esemplare. Maria Franco, con la sua costanza, la forza delle sue
idee, la sua cultura accademica forgiata in quel mare glaciale di dolore che è
un carcere minorile, merita di trasformarsi in aggettivo: Nisidiana. Non
troviamo lode migliore.
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