Da
più di sette lustri, non ho la residenza a Reggio. Un lungo periodo in cui
nessuno, logicamente, mi ha mai chiesto il voto. Ora, invece, cominciano ad
arrivare sulla mia mail delle lettere
elettorali di candidati che, evidentemente, ipotizzano che, anche se personalmente
non (li) posso votare, potrei fare un po’ di campagna a loro favore.
Non
so fino a che punto ciò dipenda dalla diffusione dei collegamenti internet –
una mail è cosa più facile della telefonata o della lettera di carta che mi si
sarebbe dovuta rivolgere dieci anni fa – o da questa sorta di passione del voto (magari indotta dall’astinenza determinata dalla fase
commissariale) che sembra aver colto tantissimi reggini (tanto da convincerne
quasi mille a candidarsi, pressoché uno ogni 180, visto che la popolazione, al 2010,
era di circa 186mila abitanti).
Qualche
dubbio che Reggio (città a forte tasso d’emigrazione, se non di intellettuali,
di laureati) possa vantare un così
alto numero di persone (che si reputano) competenti ad amministrarla, ce l’ho.
La città, infatti, vive problemi da prognosi riservata che esigono una competenza altissima e una dedizione
monacale
Ma
non ho dubbi che in campo politico-amministrativo Reggio avrebbe bisogno
proprio di questo: un po’ di ottime eccellenze e una buona classe dirigente diffusa.
Mi
farebbe piacere, perciò, sapere che, almeno una parte di questa domenica, i
candidati la stiano passando non solo nel giro di parenti, amici e conoscenti a
cercare voti, ma a studiare.
Che
governare è arte nobile e faticosa. Che non si può affrontare senza seria
passione né senza adeguata conoscenza
(del territorio, delle leggi, dei bisogni e delle attese, delle norme, dei
regolamenti, delle diverse competenze ecc. ecc.).
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