venerdì 17 ottobre 2014

Leopardi, giovane favoloso e il coraggio di Martone





Esco dalla sala – prima proiezione del primo giorno di programmazione – contenta di essere in gradevole compagnia. Perché, questo, è un film di cui parlare subito e confrontarsi a lungo.

Certo, non è il Leopardi che mi porto dentro da una vita. (L’Infinto, per me, non è una poesia, è la poesia, mi viene spontaneo recitarmela quando il cuore è spaurito, le attese sono troppo lunghe, le malinconie amare, ma anche quando la felicità spalanca l’iride). Un Elio Germano, bravissimo, ma, forse, un po’ troppo espressionista, troppo fisicamente deforme, lo sguardo troppo esagitato

Ma che coraggio intellettuale, da parte di Martone, a mettere in scena – con una partitura quasi teatrale fatta di splendide immagini, splendida musica di contrappunto, bei costumi, ottimo dialogo, bravi interpreti (memorabili i genitori del conte Giacomo) – alcuni spezzoni della vita di Leopardi, il poeta più fuori tempo e più eterno della nostra letteratura.

Martone mette a fuoco la difficoltà esistenziale di Leopardi, il suo sentirsi estraneo al mondo, il suo urlo contro la crudeltà della Natura matrigna (che, nel film, ha il volto della madre, l’anaffettiva e bigotta marchesa Adelaide); la sua insofferenza contro l’oppressione del padre, il marchese Monaldo, coltissimo, reazionario e pure affettuoso, ma a condizione che i figli rimangano suoi prigionieri dentro le mura della biblioteca di famiglia. La ferita d’una solitudine irrimediabile; il dramma d’un corpo che, oltre la gobba, via via si rattrappisce; il mancato amore di una donna. La malinconia, non priva d’orgoglio, di chi non condivide alcuna illusione né del volgo né dei sapienti; l’ironia mordace contro le magnifiche sorti e progressive di un secolo che ritiene di poter fare una massa felice di individui infelici. Insieme ad un'irrefrenabile, quasi violenta, voglia di vivere, di amare ed essere amato.

E, su tutto – contro e oltre ogni cosa – i suoi versi. Taluni eruditi, di linguaggio già antico quando lui li pronunciava. Ma, altri, miracolo purissimo in cui tutto l’amaro d’una visione cruda della vita fino alla disperazione si fa luminoso incanto, meravigliosa scoperta di emozioni eterne: dagli occhi ridenti e fuggitivi di Silvia alle Vaghe stelle dell’Orsa delle Rimembranze, alla silenziosa luna del pastore errante. 

Versi preziosi, che fondano – e tuttora reggono – la nostra (nuova) letteratura. 

“La mia patria è l'Italia, la sua lingua e letteratura”, dice Leopardi. E, in qualche modo, questo giovane favoloso continua la rivisitazione della nostra storia nazionale, che Martone aveva iniziato con Noi credevamo. Un’operazione coltissima, con forti valenze anche didattiche, svolta con estrema sensibilità e, ripeto, con coraggio. 

Perché a fare un film su un poeta, sul più grande dei nostri (insieme a Dante) ce ne vuole, in quest’Italia, davvero tanto.

1 commento:

  1. Ho gustato il tuo commento come se fosse un'anteprima del film, che vedrò domani. Grazie, Maria!

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