lunedì 5 maggio 2014

Una bellezza bianca e profumata





Se il pagellino dei fioretti* mi suscitava lo stesso senso di difficoltà dei colletti sempre in disordine (quelli sovrapposti al grembiule, che a molte delle mie compagne stavano sempre al loro posto e a me si giravano a destra o a manca, col fiocco mai centrale), c’era un altro aspetto del mese di maggio che mi lasciava un sentimento di bellezza.

L’altarino della Madonna era d’usanza diffusa. Quello dei miei ricordi apparteneva ad una prozia che, nella sua camera da letto, curava in un piccolo angolo, un’oasi di bellezza: bianca e profumata.

Al tramonto – tolto il grembiule e dismessa la pezza in testa con cui aveva difeso i capelli dalla coda della mucca durante la mungitura, messi tra parentesi per una mezzora marito, figli, parentele varie e varie incombenze – iniziava il rosario e le litanie. Possibilmente con accanto qualche altra donna, una parente, una vicina, una nipote.

Il quadretto della Vergine stava su un centrino di lino candido ricamato e bordato a uncinetto da mani fatate ed era contornato da piccoli portafiori di vetro e porcellana: con dentro tutto quello che le piante del cortile lasciavano sbocciare al sole. Fiori di più colori, ma soprattutto bianchi: rose, biancospini e fior d’angelo.

Chi non ha mai aspirato a pieni polmoni l’odore del fior d’angelo, non sa cosa sia il profumo.




Maggio era il mese dei fioretti.

Iniziava con la consegna, da parte delle suore, di una sorta di depliant bianco, con i bordi lavorati come fossero delle trine e, sulla prima pagina, stampata un’immagine della Vergine. Mai una di quelle meraviglie dei nostri pittori tre-cinquecenteschi – e sì, che ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta – ma una maternità sufficientemente melensa.

C’era enfasi in quella consegna e un’aria che voleva essere di affettuosa solennità e sapeva, invece, di minaccia.

Ogni sera, se durante il giorno s’era compiuto qualcosa di buono oppure e soprattutto s’era evitato qualcosa di male, si poteva incollare il quadratino di una rosa. Un po’ come nelle schede raccogli bollini che supermercati dei supermercati, solo che il bollino non era autoadesivo e, anche chi la scheda la completava – a meno che l’incollo non venisse fatto da qualche madre o zia – produceva un effetto accozzaglia.

Alla fine del mese, poi, tutto veniva portato in processione e bruciato davanti alla statua della Madonna che, nel cortile, stava incassata in una falsa grotta a guardare la vasca melmosa con i pesciolini rossi.

Non mi piaceva il pagellino di maggio. Non credo di averne mai completato uno.

Non perché facessi qualcosa di cattivo. Semplicemente, perché non mi pareva di fare chissà che di bene.

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