Mi sembra
molto interessante quanto scritto da Mila Spicola sulla vicenda dei due docenti
denunciati per aver inserito tra i libri consigliati un testo centrato su una
famiglia gay (http://laricreazionenonaspetta.comunita.unita.it/2014/04/29/genitori_denunciateci-tutti/)
Soprattutto,
sono d’accordo su due punti: sul rapporto, tutt’altro che lineare, tra «l’educazione
a scuola e il suo legame con la libertà educativa delle famiglie» e sul fatto
che il punto non è “la libertà di educare, ma l’educazione alla libertà”: «Qualunque
sia la propria convinzione, visto che non voglio obbligare nessuno ad avere le
mie convinzioni, anche se la Costituzione obbligo lo è, il pensiero e la
cultura devono essere liberi. E anche l’insegnamento. Esattamente per il cavallo
morto di cui sopra: un paese si fonda su valori comuni, anche quando tanto
comuni non sono. E dunque è bene, sosteniamo la maggior parte di noi docenti,
almeno quelli della Scuola Statale, che l’insegnamento sia quanto più libero,
plurale e inclusivo possibile, perché poi, ciascuna mente e ciascuna coscienza
possa scegliere, anche questo liberamente, come formare la propria opinione. E
tanto più valida sarà quanto più liberamente sarà presa. Non si è liberi senza
conoscenza, anche se questo principio inizia a vacillare. Il pensiero deve
essere libero di conoscere, di sapere, di approfondire, di valutare in
sacrosanta autonomia, ciò che accade ed esiste. Il bene e il male, al di là del
bene o del male. E ciò che è bene o male, nei temi eticamente sensibili, non
può essere deciso in assenza di conoscenza, o in regime di “monopolio”. La
qualità di una democrazia discende da tutto ciò, non solo la vita dei singoli,
per questo non è tema individuale o familiare ma collettivo».
Dice la Spicola: «Attenzione, nulla ho detto circa la qualità eventuale del libro sotto
accusa e nemmeno del motivo specifico per cui è stato criticato. Non è sul
valore narrativo dello scritto che voglio attardarmi, bensì sulla libertà della
conoscenza, sulla necessità della libertà».
Su questo
punto la mia opinione è che, se la denuncia ha fornito immeritata pubblicità
gratuita ad uno specifico libro (mentre nulla sappiamo degli altri venti in elenco nello stesso progetto) – resta comunque, in generale, il problema di ciò che, in
classe, viene proposto ai ragazzi.
Un conto è “il
canone” – già passato al vaglio della storia, della critica, entrato, anche
inconsapevolmente, nella cultura collettiva – un conto è la produzione attuale.
È un
problema che sento forte, anche perché provo a far incontrare, a Nisida, autori
e ragazzi e, tenuto conto di alcune limitazioni oggettive (per esempio autori
che abitino in città o, comunque, nei dintorni), provo a far interloquire con i
ragazzi scrittori diversi per visione della vita, sensibilità personali e
ideologiche, differenti modalità di scrittura. Ma, se molti dei loro testi vengono
posti alla liberta disponibilità degli allievi, di alcuni specifici, per
particolarità di tematica, a mio parere non pertinente all’età, alle
problematiche, alla specifica condizione dei miei ragazzi, non mi sembrerebbe
opportuno proporne io stessa la lettura.
Se la cultura
è capacità critica, lavoro lungo e faticoso per saper distinguere nelle varie
voci del mondo, la libertà di scegliere non si impara anche grazie a una guida
sensibile e intelligente che sappia che neppure i libri sono tutti ugualmente
buoni e belli (anzi ce ne sono di pessimi, di brutti, di inutili…)?
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