Quante
persone, ogni anno, vengono a visitare Nisida? Tant(issim)e.
A
molte, mi capita di (dover e/o voler) dare qualche informazione sulle attività
della scuola, di fermarmi soprattutto sui progetti più importanti e continui
degli ultimi anni (il Laboratorio di
Politica iniziato alla fine d’ottobre 2008 in occasione dell’inaugurazione
dell’omonima Aula Roberto Dinacci e
il Laboratorio di Scrittura legato all’idea di Nisida come Parco Letterario,
avviato un anno dopo e che, al momento, ha espresso tre volumi di Racconti e La Grammatica di Nisida).
E
di osservare, nel loro sguardo, la cortesia formale o l’interesse vero o lo
stupore d’un’informazione inattesa o l’entusiasmo d’una conferma oppure una
vasta gamma di altre sfumature. E di conservare, per più o meno tempo, le
reazioni che le loro provocano in me.
Quest’anno,
ci sono state due persone diverse, per ruolo, per professione, per eloquio, che
hanno ribattuto più o meno con la stessa frase e con lo stesso sospiro rivolto
al cielo ad una vicenda che è importante
per me (come cantava qualcuno negli anni sessanta o settanta, non lo
ricordo più).
A
Nisida, intorno al 600 visse un monaco, Adriano. Veniva dalla Libia, era nero,
conosceva il greco ed era esperto in numerose arti. Fu abate di Nisida e,
successivamente, abate di Canterbury e, con questo titolo – di Canterbury – è festeggiato
come santo, dalla Chiesa cattolica, il 9 gennaio. Ecco: io trovo che sarebbe
giusto, e bello – kalòs kagathòs – se quel titolo si
ampliasse: sant’Adriano di Nisida e Canterbury.
“Non
le dico – mi sorrise l’on. Rocco Buttiglione – quando, per la prima volta, sentii
di Sant’Anselmo di Canterbury. Non mi pareva possibile non averne mai sentito
parlare…”
“Non
mi dire – sorrise il biblista Paolo Curtaz – l’unica gloria di Aosta sentirlo
definire…”.
Già,
ma almeno nei nostri libri, Sant’Anselmo è quello di Aosta e io non chiedo che,
ad Adriano, venga tolto il riferimento inglese, ma aggiunto quello nisidiano.
Questo
strambo destino dei nomi, dati e/o non dati, avvicina il santo (ignorato) di
Nisida a Reggio.
Un
terremoto di proporzioni disastrose la rade al suolo, nel 1908, e il tragico
evento passa alla storia solo col nome dell’altra città distrutta: “terremoto di
Messina” (come, in fondo, anche lo Stretto, che pure bagna entrambe le rive).
nella foto di Gaspare D'Esposito, Paolo Curtaz e il cappellano di Nisida, don Fabio De Luca, con sullo sfondo porto Paone.
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