è
talmente vasto il problema che non saprei da dove iniziare la riflessione e
forse “consapevolmente” in questo momento mi rifiuto di caderci dentro. Una
sola domanda però vorrei porre: quanto la scuola da “isola felice” soprattutto
per il mondo femminile si è andata a trasformare in ambiente ad altissima
conflittualità tanto da essere ormai diventata fonte di nevrosi e patologie
psichiatriche?? Non mi riferisco a questo caso specifico, ma qualche giorno fa
sono rimasta positivamente colpita dall'intervento di uno specialista durante
il tg 5 che finalmente parlava chiaro sulle enormi difficoltà che incontrano i
docenti quotidianamente tra colleghi, tra burocrazia e soprattutto, cosa ancor
più grave nella loro attività relazionale e didattica con gli alunni. Noi
docenti, siamo destinati al sacrificio qualunque forma abbia??? Io ho ancora in
mente mia madre che durante le vacanze scolastiche metteva il broncio perché
non poteva andare a scuola, oggi invece lo mettiamo perché “costrette” ad
andarci!!!!!
Dei
non pochi commenti fatti al mio pezzo pubblicato su Zoomsud con il titolo Se
una professoressa viene uccisa a scuola http://www.zoomsud.it/commenti/54012-se-una-professoressa-viene-uccisa-a-scuola.html,
quello di Caterina Sorbilli mi ha particolarmente colpito, rimandandomi a
ricordi personali. Di quando, mio padre auspicava per me, ancora ragazza (e con
altri sogni di lavoro, che, per vari motivi non ho poi potuto e/o voluto
realizzare), un futuro da insegnante, proprio con l’obiettivo di garantirmi,
insieme, un lavoro stimato, “tranquillo” e facilmente conducibile insieme ai (futuri)
compiti di moglie e madre. Un lavoro, insomma, “adatto a una donna”.
Oggi,
fare l’insegnante è un lavoro quasi esclusivamente femminile nella fase dell’obbligo
e massicciamente femminile negli anni successivi fino alla maturità: con un
impegno orario (vacanze estive almeno in parte escluse) ben più massiccio del
passato; socialmente sottostimato (con una forbice che non esclude né
incomprensione né irrisione del ruolo); e straordinariamente faticoso.
Un lavoro rischioso, talvolta in termini fisici e sempre sotto l'aspetto psicologico: per le
difficoltà burocratiche, la preparazione magari accuratissima (la laurea col massimo, strameritato) eppure inadeguata al contesto delle classi, l’inseguimento affannoso di metodi, tecniche, strumentazioni, progetti più o
meno utili, il poco o nulla sostegno/riconoscimento da parte delle famiglie, il riversarsi sulla scuola di tutte le problematiche sociali, ambientali,
familiari, psicologiche, che non sembrano avere molti altri centri d’attenzione (e, tantomeno di risoluzione) e il correlato ritrovarsi continuamente sotto esame.
Quanto il paese nel suo complesso è disposto a investire - e qui non parlo di soldi, ma di tempo e attenzione, di energie intellettuali e morali, di intelligenza e creatività -sulla scuola e su chi la scuola la fa?
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