mercoledì 19 giugno 2013

Ma la scuola non finisce mai






è talmente vasto il problema che non saprei da dove iniziare la riflessione e forse “consapevolmente” in questo momento mi rifiuto di caderci dentro. Una sola domanda però vorrei porre: quanto la scuola da “isola felice” soprattutto per il mondo femminile si è andata a trasformare in ambiente ad altissima conflittualità tanto da essere ormai diventata fonte di nevrosi e patologie psichiatriche?? Non mi riferisco a questo caso specifico, ma qualche giorno fa sono rimasta positivamente colpita dall'intervento di uno specialista durante il tg 5 che finalmente parlava chiaro sulle enormi difficoltà che incontrano i docenti quotidianamente tra colleghi, tra burocrazia e soprattutto, cosa ancor più grave nella loro attività relazionale e didattica con gli alunni. Noi docenti, siamo destinati al sacrificio qualunque forma abbia??? Io ho ancora in mente mia madre che durante le vacanze scolastiche metteva il broncio perché non poteva andare a scuola, oggi invece lo mettiamo perché “costrette” ad andarci!!!!!

Dei non pochi commenti fatti al mio pezzo pubblicato su Zoomsud con il titolo Se una professoressa viene uccisa a scuola http://www.zoomsud.it/commenti/54012-se-una-professoressa-viene-uccisa-a-scuola.html, quello di Caterina Sorbilli mi ha particolarmente colpito, rimandandomi a ricordi personali. Di quando, mio padre auspicava per me, ancora ragazza (e con altri sogni di lavoro, che, per vari motivi non ho poi potuto e/o voluto realizzare), un futuro da insegnante, proprio con l’obiettivo di garantirmi, insieme, un lavoro stimato, “tranquillo” e facilmente conducibile insieme ai (futuri) compiti di moglie e madre. Un lavoro, insomma, “adatto a una donna”.

Oggi, fare l’insegnante è un lavoro quasi esclusivamente femminile nella fase dell’obbligo e massicciamente femminile negli anni successivi fino alla maturità: con un impegno orario (vacanze estive almeno in parte escluse) ben più massiccio del passato; socialmente sottostimato (con una forbice che non esclude né incomprensione né irrisione del ruolo); e straordinariamente faticoso.

Un lavoro rischioso, talvolta in termini fisici e sempre sotto l'aspetto psicologico:  per le difficoltà burocratiche, la preparazione magari accuratissima (la laurea col massimo, strameritato) eppure inadeguata  al contesto delle classi, l’inseguimento affannoso di metodi, tecniche, strumentazioni, progetti più o meno utili, il poco o nulla sostegno/riconoscimento da parte delle famiglie, il riversarsi sulla scuola di tutte le problematiche sociali, ambientali, familiari, psicologiche, che non sembrano avere molti altri centri d’attenzione (e, tantomeno di risoluzione) e il correlato ritrovarsi  continuamente sotto esame.

Quanto il paese nel suo complesso è disposto a investire - e qui non parlo di soldi, ma di tempo e attenzione, di energie intellettuali e morali, di intelligenza e creatività -sulla scuola e su chi la scuola la fa?



 

 



Nessun commento:

Posta un commento