sabato 9 giugno 2012

Terremoti, danni e prospettive


La scoperta dell’acqua calda non finisce mai. E, così, nei giorni scorsi, i giornali hanno messo in evidenza uno studio della Tohoku University di Sendai, una delle città giapponesi più colpite dal terribile sisma nel marzo del 2011, pubblicato da Molecular Psychiatry e citato da Wired secondo cui – chi l’avrebbe mai detto?!? – i terremoti hanno conseguenze sul nostro cervello. Provano, infatti, cedimenti strutturali della corteccia celebrale.

Vissuta in un paese dove, a cinquanta anni di distanza, nonni e zii parlavano del terremoto del 1908 come di un’esperienza attuale, ho poi sperimentato, il 23 novembre dell’80, i grandi lampadari del teatro San Carlo di Napoli che oscillavano in un vortice da fine del mondo. E mi sono più volte chiesta quanto la ciclica precarietà della terra meridionale abbia inciso nella sua debole articolazione economica e sociale, nel suo vivere alla giornata, nel suo cercare in piccolissime consolazioni (certi dolci divini, per esempio) conforto all’assenza di sicurezze e prospettive.

Ma il Nord. Il Nord restava sicuro, ancorato ad una stabilità del suo territorio, dove qualche terremoto, anche grave – come potrei non ricordare il dramma del Friuli del 1976? – non era che un caso, una parentesi.

Ora che non è più così, non è il momento (magari l’ultimo possibile) di fare della comune ansia la leva per mettere in sicurezza, per quello che essendo umanamente possibile ci compete, un comune territorio bellissimo e fragilissimo?




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