domenica 18 marzo 2012

Il sole sorge a Sud di Marina Valensise

“Dentro di me c’è un cortile assolato. Lungo e stretto, chiuso e protetto, sembra un utero; per terra il brecciolino bianco, di quelli che segnano per sempre le ferite
al ginocchio di chi correndo cade. Il cortile era circondato da una fila di vecchie case….(…)”.

 Insieme al mare – “e per il mare intendo Palmi in senso lato, e dunque la spiaggia della Tonnara, ma anche la piazza e soprattutto la casa dei nonni materni”– “dentro di me c’è ancora quel cortile assolato, c’è il sole a picco, il caldo afoso e senza scampo, i concerti di cicale ubriache d’estate, le ortensie che implorano un po’ d’acqua. C’è il silenzio della controra e la frescura dell’imbrunire, coi piedi bagnati che sguazzano nella ghiaia, e la pompa che vaga di mano in mano per abbeverare la natura. E poi c’è il buio della notte…”.

 Tra il regno del Mare – “il regno del disordine, della licenza del possibile, del sempre permesso e del comunque consentito” – e quello del Cortile – “regno dell’ordine, della norma imposta, venerata e rispettata, delle regole inesorabili e dei divieti introiettati, della vita sobria e del rigore…” – scorre il paradiso di un’infanzia serena, in cui, anche in vacanza, si cresceva apprendendo la disciplina del bene, l’appagamento del fare il proprio dovere.

 Quando, nel 2009, per una serie estiva del Foglio intitolata Cosa c’è dentro di me, Marina Valensise scrisse della Calabria di quando era piccola – dei giochi con i cugini, del reiterato e sempre nuovo “nascondersi in cortile”, degli adulti di casa, dell’orizzonte visibile dalla casa di Polistena– “le montagne delle Serre che prima di salire verso l’Aspromonte, si dilungano sui piani della Corona, culminano sul dente del Sant’Elia per tuffarsi, da lì, a picco sul mare e ritrovare in fondo al golfo di Gioia le piccole sagome estenuate delle Eolie…” – “fui sommersa da tante reazioni inaspettate. Messaggi palpitanti di commozione, cugini in lacrime, tanti amici sorpresi e ammaliati”.

Non poteva che essere così. Perché, la sua, era una descrizione di limpida bellezza, in cui un intreccio di sobrio lirismo e di sensibile riflessione illuminavano l’appassionato, intimo, legame con la terra d’origine, facendo emergere nel lettore emozioni personali, intense e profonde.

 Il ricordo dell’infanzia – realtà mitica, come è sempre, vista ad una certa distanza di anni – non diventava il rimpianto del passato o l’amarezza del futuro impossibile, ma il potenziale punto di partenza per un’analisi sul presente. Analisi definita dall’autrice parziale e ipersoggettiva, eppure lungamente maturata nel confronto con la complessa oggettività della situazione italiana.

 Con Il sole sorge a Sud – Viaggio contromano da Palermo a Napoli via Salento, recentemente pubblicato da Marsilio, Marina Valensise esplicita quanto in quell’articolo rimaneva sottinteso. Ovvero, che la nuova crescita, economica, sociale e culturale, del Paese può venire proprio e soltanto dal Meridione, a patto che esso stesso, per primo, smetta di percepirsi come problema e inizi a interpretarsi, a viversi, come risorsa.

 Da qui la necessità di uno sguardo attento al Sud “normale”, “un Sud fatto di serenità, di tranquille abitudini, ma soprattutto di impegno, serietà, rigore”, quello che, fagocitato dall’immagine del Meridione preda della delinquenza organizzata oppure mero rigurgito dell’insieme di “piagnistei, lamentazioni perenni e bilanci di fallimento”, non riesce ad emergere mai.

 Un’inchiesta giornalistica che percorre il territorio, strada dopo strada, scoprendo cosa c’è di vecchio e di nuovo dietro ogni angolo, raccontando i luoghi come se non fossero mai stati visti e le persone come fossero state a lungo conosciute. Un’indagine insieme accurata e fresca; nuova e attenta, che riorienta la prospettiva in cui inquadrare fatti e scelte. Con una cifra stilistica che fonde il sobrio linguaggio della giornalista con il fascino ammaliante d’un raccontare da scritttrice.

 Le pagine calabresi (pp73-149), vivida descrizione di un mondo aspro, difficile, straordinariamente bello e ancora pieno di potenzialità – inchiesta e, in qualche modo, romanzo di formazione – richiamano, che si sia d'accordo o meno con le singole affermazioni, le più belle note di viaggio dei secoli passati.

 “… oggi nessuno, forse nemmeno il calabrese, osa più ricordare la felice etimologia del nome della sua terra, Calabria, scelto dai bizantini per dimenticare il Bruzio, unendo il plurale di kalos e brùw che in greco è tutto ciò è buono, e un verbo che vuol dire fiorisco, abbondo, rigurgito”.

 Marina Valensise compie il miracolo di guidare il lettore – sia quello che della regione non sa nulla di più di quanto raccontano i telegiornali sia quello che vive personalmente la solitudine di Reggio, la natura selvaggia del cuore dell’Aspromonte, le diverse situazioni della Calabria Ultra e di quella Citra – nella scoperta di tutto ciò che, pur senza dimenticare il male ed il buio, dia la consapevolezza che quel nome possa avere, ancora oggi, un significato pieno.



1 commento:

  1. Benvenuto a ogni libro che sia capace di spingere verso il capovolgimento dei pregiudizi, per costruire un'Italia migliore.

    RispondiElimina