sabato 28 novembre 2020

MIcrostorie: Peccato d'origine

 


Mia madre è morta in zona rossa. Ho dovuto chiedere un permesso per raggiungere la casa dei miei. Un incidente di macchina. Banale. Non s'aspettava la voragine, che s'era aperta nella notte. Ha perso il controllo su una curva da niente, di prima mattina. Non c’era nessuno per strada.

Sono rimasta con mio padre qualche giorno. Lui ha provato a rassicurarmi: “Non ti preoccupare”. Marta, che veniva a fare le pulizie due volte la settimana, gli ha detto che è disponibile a cucinare tutti i giorni, a lavare, a stirare. “Me la caverò.”

Sono tornata a casa mia, portandomi dietro un po' di carte. Mia madre era una donna impegnata nel sociale, stimata. Ho scoperto che teneva un diario. Le ultime righe cominciano così: “Non so quand’è stato che, per la prima volta ho pensato al suicidio. Ma so che, con gli anni, quest’idea è diventata compagna dei miei giorni. Prima, era il traboccare dell’infelicità, ma, quando lo spirito era stracolmo di mali, sempre succedeva che mi prendeva un dolore fisico forte, un problema del corpo e la preoccupazione che stessi sviluppando, che so, il cancro, mi faceva risalire la china. Mi riaggrappavo alla vita, tornavo, rinfrancata, alle mie occupazioni. Da anni, è, semplicemente, il fatto che non mi reggo più. E solo l’idea che ho una possibilità di annientare tutto il male che mi sono fatta, il futuro che non ho più, mi consente di arrivare, ammaccata ma in piedi, alla fine di certe giornate. Dicono che, per vivere, bisogna, a un certo punto, perdonarsi. Io posso perdonare gli altri. Ma perdonare me avrebbe il sapore del colpo di spugna vigliacco. Ed, io, vigliacca non sono stata mai. Solo, ho sempre castrato la mia vita. Il prezzo della non-vita l’ho pagato anche trenta o venti anni fa. Il mio denaro, il talento che avevo l’ho sprecato. Ora, il fallimento sta squadernato davanti al mio volto. Immedicabile.” 

È sempre stata una donna tormentata, mia madre. Anche nei momenti sereni, le labbra le si piegavano verso il basso e una luce di rimorso appariva nello sguardo, come se si sentisse colpevole di qualcosa. Da ragazza, avevo provato a capire. Inutilmente. Finché ci ho rinunciato. Non era la peggiore delle madri. Anche allora sapevo che mi sarebbe potuta andare molto peggio. Mi illudevo sarebbe invecchiata nel suo brodo; magari, alla fine, avrebbe imparato anche a rilassarsi. Ora, quella sua colpa, qualunque fosse, mi ricade addosso. Senza neppure la consolazione di poter pensare di essere io, a ucciderla, mia madre. Ho lasciato da tempo dogmi e riti della religione. Ma sono certa che il peccato originale è il filo che unisce le generazioni. Madri e figlie, soprattutto.

Post Scriptum: Ogni riferimento a persone o situazioni reali è puramente casuale.

 

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