domenica 9 agosto 2020

Quando il corpo delle donne è delle donne

 

Il Ministero della Sanità aggiorna le linee guida sulla pillola abortiva e sui social è un pullulare di festeggiamenti per la “fine di un tabù” e per la nuova “conquista delle donne”, magari nel nome di un vecchio grido di battaglia femminista: “il corpo delle donne è delle donne”.

Rivendicazione, questa, che, invece, stride con la banalizzazione dell’aborto (chirurgico e chimico).

Che il corpo delle donne è delle donne dovrebbe, sul punto, significare che le donne iniziano una gravidanza in maniera consapevole. Che siano in grado di gestire la loro potenza generativa “prima” e con metodi quanto più naturali possibile (non dubito che le conoscenze attuali lo consentirebbero su larghissima scala, se si volesse).

Le leggi non sono mai neutrali. Fanno opinione. Anche quando consentono e non obbligano finiscono col costituire l’ambito se non del giusto e dell’ingiusto quello della normalità (non della tragica eventualità).

L’aborto come diritto delle donne da sbandierare (e non è così nella 194) nasconde una diffusa e generale banalizzazione della vita e della morte, una riduzione della maternità come fatto privato (quando, al contrario, ha valore sociale) e ha il retrogusto di un dovere. Ci sono situazione in cui può essere un dramma inevitabile. Ma non è mai un di più di libertà e di forza delle donne. Ci sono dentro i germi dell’acquiescenza alla deresponsabilizzazione dei potenziali padri e una sorta di adeguamento a quanto la società in fondo oggi chiede alle donne: di essere tutto, meno che madri.

Nessun commento:

Posta un commento