La mia comare della rua è curespina. Al contrario della scamardata – che, non stendendo al sole le stuoie di vimini per i fichi e i pomodori secchi, mostra tutta la sua insipienza – sa condurre la casa, con lo sguardo lungo di chi in estate pensa all’inverno.
Ha sapienza di parole. Scritte e dette. E, chiacchierando, filtra il nostro piccolo mondo intorno e quello più vasto in cui viviamo con intelligente sensibilità.
È una fortuna questa fresca oasi di parole – che si soffermano anche sull’etimo di termini del nostro dialetto: lingua mescolata di greco, latino, spagnolo, francese, arabo, che meriterebbe molta più attenzione di quella che ha mai avuta.
È una grazia l’amica con cui dire/dirsi. Soprattutto in quest’estate strana, che segue un inverno/primavera traumatici e che precede un autunno/inverno in cui sarà più evidente di quanto adesso in tanti sembrano non (voler) capire: che la nostra vita, nel bene e nel male, non sarà più come l’abbiamo vissuta fino al febbraio 2020.
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