Questo è il mio contributo al concorso di saggistica riservato ai soci Jasit (La Jane Austen society italiana) intitolato «Le madri. Presenze e assenze nei romanzi austeniani» e di cui sono stati comunicati ieri i primi tre classificati che saranno pubblicati sulla rivista dell’associazione Due pollici d’avorio. Il mio non è tra questi, ma sono contenta d’aver avuto un’occasione per omaggiare la più grande di tutte.
Mrs Bennet e le altre: le madri di Jane Austen
«Era una donna di intelligenza modesta, di scarsa cultura e di carattere debole e incerto. Quando era scontenta si convinceva di essere nervosa. Scopo della sua vita era trovare marito alle figlie; i suoi svaghi le visite e le chiacchiere.»[1]
Senza Mrs Bennet – senza i suoi sproloqui, i suoi malanni, la sua foga di accasare le figlie – Orgoglio e pregiudizio non sarebbe il capolavoro che è. È lei, il personaggio più volutamente ridicolo, insieme a Mr Collins, della sua intera opera, la madre per eccellenza di Jane Austen.
L’ineleganza dei suoi modi e della sua conversazione non fanno arricciare il naso solo alle vanesie sorelle di Bingley e all’orgoglioso e raffinato Darcy, ma mettono in imbarazzo le sue due più sensibili e intelligenti figlie, Elizabeth e Jane, che ne arrossiscono e se ne vergognano. Dalle crisi di nervi all’esagerato buonumore, la Austen si diverte a descriverla con ironia garbata e intelligente, senza fare sconti a nessuno dei suoi difetti, ma con una sorta di affettuosa giocosità.
Nonostante tutti i suoi limiti, Mrs Bennet non viene in alcun modo “punita”, al contrario esce vittoriosa dalla sua “guerra”: nel giro di un anno si sposano ben tre figlie e lei, che aveva fatto di tutto per mettere Jane davanti agli occhi di Bingley e non s’era posta problemi “morali” per le circostanze del matrimonio di Lydia, esplode di gioia per il fidanzamento “ricco” di Elizabeth: «Santo cielo! Buon Dio! Incredibile! Mr Darcy! Chi lo avrebbe mai pensato! È proprio vero? Oh, Lizzy, tesoro! Come sarai ricca e importante! Quanto denaro, quanti gioielli, quante carrozze avrai! Quello che ha Jane è nulla al confronto, proprio nulla! Sono così felice. Un uomo così affascinante! Così bello, così alto! Oh, cara Lizzy! Ti prego, scusami con lui se l’ho tanto detestato finora. Spero che se ne dimenticherà. Cara, cara Lizzy. Una casa in città! Che bellezza! Tre figlie maritate! Diecimila sterline l’anno! Buon Dio! Che ne sarà di me: finirò per diventare matta.»[2]
Le protagoniste, principali e secondarie, della Austen (gli uomini, anche i più fascinosi, restano un gradino sotto) sono giovani donne che vogliono/devono cercare marito e, anche quando non ci pensano, lì approdano perché il matrimonio è l’unica, possibile, realizzazione della loro vita. In una società che, per le donne, non contempla né studio né professione, è nella ricerca, attiva o anche passiva, di semplice attesa di un marito, che si esplicitano intelligenza, equilibrio e anche dignità. Una scelta in cui oculatezza e sentimento si equilibrano è la forma di libertà più alta che le giovani donne della Austen possono esperire. «Viviamo in casa, quiete, recluse, e i nostri sentimenti ci assalgono, ci consumano – dice Anne Elliot – Voi (uomini, Ndr) siete portati per forza all’azione. Avete sempre una professione, interessi, affari di vario genere che vi riportano immediatamente nel mondo, e la continua attività, il continuo cambiamento fanno sì che presto le impressioni si attenuino.»[3]
Al tempo della Austen, il matrimonio, punto culminante della gioventù, era la scelta che definiva il resto dell’esistenza. Nel matrimonio, i figli sarebbero venuti o meno: ma si trattava di un dato, non di una scelta. Il matrimonio, quindi, anche semplicemente il suo annuncio, era il punto finale in cui far convergere un racconto; la maternità, (come, del resto fino a pochi decenni fa) non era contemplata come possibile centro narrativo.
Se Mrs Bennet, in Orgoglio e pregiudizio, ha un ruolo, sebbene non da protagonista, di assoluto rilievo, molte figure materne, nella Austen, hanno posizioni decisamente secondarie: ma anche quando a loro non sono dedicate che poche righe, si tratta di descrizioni di incisivo nitore. L’orrida Ferrars che si tiene sempre alla larga «da quella vergogna nella quale ella sembrava sempre timorosa di incorrere: la vergogna di essere troppo amabile»[4] e la sua degna figlia, acida e sgradevole, dominata anch’essa dal dio denaro e un esagerato senso di se stessa. L’odiosa lady Catherine di Orgoglio e pregiudizio che aveva deciso il matrimonio di sua figlia con Darcy prima ancora che la piccola nascesse.
La generosa ma superficiale signora Jennings che «aveva solamente due figlie, e aveva vissuto per vederle entrambe rispettabilmente maritate, e quindi adesso non trovava niente di meglio da fare se non cercare di unire in matrimonio tutto il resto del mondo»[5] e l’altrettanto superficiale figlia Charlotte, ora signora Palmer, appena divenuta madre.
Più spazio, e tanta ironia, dedica la Austen all’elegante e fredda lady Middelton, che non aveva «niente di suo da dire al di là delle domande e delle osservazioni più banali»[6], ma «aveva preso la saggia precauzione di portare con sé il figlio maggiore, un bel ragazzino di circa sei anni, il quale nei momenti più difficili fornì sempre alle signore un argomento perché c’era da chiederne il nome e l’età, da lodarne la bellezza e da porgli domande alle quali la madre rispondeva per lui. [...]. Durante le visite di cortesia dovrebbe esserci sempre un bambino per alimentare la conversazione.»[7] Per lady Middelton, la lode ai suoi figli vale una doppia lode a lei, o anche più: «Fortunatamente per coloro i quali corteggiano il prossimo sfruttandone così i punti deboli, una madre molto tenera, sebbene sia nel cercare lodi per i propri figli il più rapace degli esseri umani, è parimenti anche il più credulo: le sue richieste sono esorbitanti, ma inghiottirà di tutto. Perciò l’eccesso di affetto e di tolleranza delle signorine Steele verso la sua prole fu contemplato da Lady Middelton senza la minima sorpresa o diffidenza. Ella osservava con materno compiacimento tutti gli scherzi impertinenti e le monellerie cui le cugine si sottomettevano»[8], persa in una sorta di adorazione di John che «oggi, non fa altro che birbonate»[9] e di Annamaria, «sempre così buona e quieta, è la cosina più quieta che ci sia»[10], ma che, per un graffietto da nulla, riesce a piantare una grana che non finisce più.
La Austen mostra simpatia per Mrs Morland, madre dell’eroina de L’Abbazia di Norhanger: «Era una donna assennata, di buon carattere e, quel che più conta, di sana costituzione. Aveva già tre figli quando nacque Catherine; e, invece di morire nel mettere quest’ultima al mondo, come poteva anche accadere, continuò a vivere e visse per avere altri sei figli, vederseli crescere d’attorno, e godere essa pure di ottima salute. [...] Mrs Morland era una gran brava donna, e desiderava dare ai figli la migliore educazione possibile; ma era così indaffarata a mettere al mondo e ad allevare i suoi piccoli, che le figliole maggiori restavano inevitabilmente abbandonate a se stesse»[11]: cosa che non impedisce a Catherine, amante dei libri, non di studio, ma «di racconti che non richiedevano riflessione»[12] – «da quindici a diciassette anni si allenò a diventare un’eroina leggendo tutti i romanzi che le eroine devono conoscere»[13] – di raggiungere un buon matrimonio: «Certo Catherine sarebbe stata una sventata padroncina di casa, fu la profetica osservazione materna subito seguita però dal consolante pensiero che nulla vale quanto la pratica.»[14]
Atmosfera molto più cupa in un’altra casa affollata. Alle soglie del suo nono parto, «circostanza che deplorava amaramente»[15], Mrs Price scrive alla sorella lady Beltram cercando la riconciliazione dopo una lunga rottura di relazioni: «Li supplicava (sorella e cognato, Nrd) di far da padrini al nascituro. Non nascondeva, inoltre, di essere conscia che solo la benevolenza dei suoi poteva aiutarla a mantenere decorosamente gli otto figli già nati. Il maggiore era un ragazzino di dieci anni, dall’intelligenza pronta, ansioso di incominciare a farsi strada nel mondo: ma dove indirizzarlo? Forse Sir Thomas avrebbe potuto impiegarlo in uno qualsiasi degli uffici che curavano i suoi interessi nelle Indie Occidentali?»[16] Ma i Beltram scelgono Fanny: «Mrs Price parve alquanto sorpresa nel vedere che la scelta cadeva su una delle ragazze, mentre lei aveva tanti simpatici maschietti, ma accettò l’offerta con viva gratitudine.»[17] Nella casa ricca in cui si ritrova, Fanny sperimenta che zia Beltram non è più attenta verso i figli della povera, trasandata, Mrs Price.
Non tutte le eroine della Austen hanno una madre. È morta la madre di Emma Woodhouse, cosa che non sembra aver minimamente influito sul carattere solare della ragazza: era rimasta orfana «da troppi anni perché ella serbasse più d’una vaga memoria delle sue carezze, e aveva fatto le veci di madre un’eccellente donna in qualità di governante, che per affetto s’era dimostrata poco meno di una madre.»[18] Ed è morta la madre di Anne Elliot, che ne conserva cara memoria nel cuore: «Lady Elliot era stata una donna eccellente, assennata e amabile, il cui discernimento e la cui condotta, se mai meritavano un’attenuante a causa dell’infatuazione giovanile che aveva fatto di lei Lady Elliot, non avevano mai avuto in seguito bisogno d’indulgenza di sorta. Per diciassette anni aveva assecondato, o smussato, o nascosto le pecche del marito, aveva stimolato in lui il senso della vera responsabilità; e benché non fosse ella stessa la più felice creatura di questo mondo, aveva trovato nei suoi doveri, nelle amicizie, nelle figliole, ragioni sufficienti per attaccarsi alla vita, per non guardare con indifferenza al momento in cui fu chiamata a separarsi da loro. Lasciare tre ragazze (le due maggiori rispettivamente di sedici e quattordici anni) era questo per la madre un angoscioso legato, e ancora più angosciosa era la responsabilità di affidarle alla guida e all’autorità di un padre sciocco e vanesio. Aveva tuttavia un’intima amica, donna assennata e stimabile [...] e sulla gentilezza di lei, sui suoi consigli, lady Elliot contava soprattutto per un valido aiuto e sostegno dei buoni principi e dei precetti che così ansiosa cura aveva impartito alle figlie.»[19] Se è lecito dubitare che lady Elliot avrebbe “bloccato” la scelta amorosa di Anne, come fa l’affettuosa ma molto attenta alle convenzioni sociali lady Russel, è difficile immaginarla come la piagnucolosa figlia Mary, facile a pensarsi malata e incapace, a detta di marito e suocera, di occuparsi dei bambini senza viziarli. Quando il marito decide di andare a cena dai suoi, nonostante il piccolo incidente che tiene costretto a letto il figlio, Mary esplode: «Ecco! Tu (Anne, Ndr) ed io veniamo lasciate qui a cavarcela da sole accanto a questo povero bambino malato senza che nessuno, per tutta la sera, venga a tenerci compagnia! Sapevo che sarebbe andata così. È il mio destino, sempre. Se c’è qualcosa di spiacevole, puoi star sicura che gli uomini se la battono sempre, e Charles è come tutti loro. [...] Spero di amare mio figlio quanto qualsiasi madre ama il suo, ma non credo proprio di essere più utile al suo capezzale di quanto possa esserlo Charles.»[20] L’offerta di Anne a restare lei col bambino dà uno sbocco tranquillo a questa sorta di rivendicazione proto-femminista: Mary va col marito, «tutti e due d’ottimo umore.»[21]
La più dolce delle madri austeniane è la signora Dashwood di Ragione e sentimento. Rimasta vedova e priva di mezzi, deve lasciare la sua casa e accettare di vivere in un cottage con le tre figlie, la saggia Elinor, l’appassionata Marianne e la giovanissima Margaret. Una donna “normale”, che non sempre riesce a “vedere” chiaramente ciò che sta succedendo; gentile, dignitosa, discreta, fiduciosa nelle buone scelte delle figlie. In una parola che lei stessa usa spesso per gli altri: amabile. Del tutto diversa dall’intrusiva e intrigante signora Bennet, ma anche lei premiata con due matrimoni: quello di Elinor con Edward Ferrars e quello di Marianne col colonnello Brandon.
Confermando che le madri hanno, per la Austen, un compito supremo: avviare le figlie ad un matrimonio conveniente: mai privo di sentimenti e, se possibile, ricco. Non sappiamo nulla di che madri siano, poi, state, Elizabeth e Jane, Emma e Anne e Fanny, Elinor e Marianne: ma darei per certo che, ciascuna a modo suo, tutte hanno adempiuto al meglio al loro compito.
[1] Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, Garzanti 1978, traduzione di Isa Maranesi, p.3
[2] Jane Austen, Ivi, pp.295-296
[3] Jane Austen, Persuasione, Garzanti 2001, traduzione di Luciana Pozzi, p.. 226
[4] Jane Austen, Ragione e sentimento, Theoria 1996, traduzione di Stefania Censi, p. 369
[5] Jane Austen, Ivi, p.50
[6] Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, cit., p.44
[7][7] Jane Austen, Ivi, cit., p.45
[8] Jane Austen, Ragione e sentimento, cit., p.128
[9] Jane Austen, Ibidem
[10] Jane Austen, Ivi, p.129
[11] Jane Austen, L’Abbazia di Northanger, Garzanti 2001, traduzione di Teresa Pintacuda, pp.3-5
[12] Jane Austen, Ivi, p.5
[13] Jane Austen, Ibidem
[14] Jane Austen, Ivi, p.204
[15] Jane Austen, Mansfield Park, Garzanti 1983, traduzione di Simone Buffa di Castelferro, p.5
[16] Jane Austen, Ibidem
[17] Jane Austen, Ivi, p.11
[18] Jane Austen, Emma, Garzanti 1979, traduzione di Mario Praz, p.1
[19] Jane Austen, Persuasione, cit., p.4 – 5
[20] Jane Austen, Ivi, pp.54-55
[21] Jane Austen, Ivi, p.57
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