Sono stata,
ieri, a sentire Matteo Renzi al Circolo Artistico Politecnico a Napoli. Sono
arrivata due ore prima e bene ho fatto, perché tantissimi sono rimasti
accalcati in piedi e tantissimi altri non sono proprio riusciti ad entrare.
Ho letto Un’altra strada il giorno stesso che il
libro è stato pubblicato ed ascoltato, su fb, almeno cinque presentazioni. Avrei,
insomma, potuto fare a meno di dedicarci un pomeriggio intero se avessi solo voluto
sapere quali sono le idee e le proposte di Renzi, al momento. Ma non volevo
togliermi il piacere di essere tra quelli che gli riconoscono più virtù che
difetti, di dirgli grazie perché ha risposto alla sconfitta senza diventare
perdente, anzi rilanciando su un futuro, migliore, possibile (per il paese).
E non solo
mi sono trovata tra più gente di quanto pensassi, ma, soprattutto, mi sono
trovata tra decine e decine di giovani, contrariamente alla vulgata
giornalistica che tratta le folle plaudenti per Renzi più o meno come mentecatti
in libertà. Ed ho potuto anche osservare come Renzi (l'abituale camicia bianca con le maniche arrotolate, la battuta sempre pronta, quel fondo di guasconoggine abbandonato, un dolore filiale ben contenuto ma fondo) sia uguale e diverso, diverso e uguale (come
magari direbbe Moretti) ad alcuni anni fa (pochi, in fondo, eppure tantissimi).
Il Renzi, di
oggi è sicuramente più maturo, provato sul piano politico e anche su quello
personale, ma non ha perso una briciola quella passione per la politica e per
il futuro che diventa visione, prospettiva, capacità di guardare oltre. Ovvero,
continua a portare in sé – nonostante tutto: gli errori suoi e le malevolenze
degli altri – un vento di speranza che un partito di serio riformismo dovrebbe
avere come connaturato.
Nell’aprile del 2014, quasi un anno
prima che iniziasse la sua avventura da Presidente del Consiglio, mi capitò di
sentirlo dal vivo, per la prima volta, alla presentazione di un libro. Ne
scrissi, a caldo per Zoomsud, (La lettera. Un paese incerto e tutti
in fila in cerca di speranza http://www.zoomsud.it/primopiano/50736-la-lettera-un-paese-incerto-e-tutti-in-fila-in-cerca-di-speranza.html)
come si può
vedere da questo post sul Blog: http://conchigliette.blogspot.com/2013/04/renzi-i-cattolici-e-il-presidente-della.html:
Caro
direttore, ieri pomeriggio (venerdì 12 aprile), sono andata alla presentazione
del libro “Giorgio Napolitano. La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale”
di Paolo Franchi, edito da Rizzoli presso la Sala delle Assemblee della Società
Napoletana di Storia Patria al Maschio Angioino.
Non ho alcun
dubbio che si tratti, per autorevolezza dell’autore e importanza della materia,
di un libro da leggere. Ma, onestamente, non per questo mi sono avviata da casa
in maniera da giungere lì un’ora prima di quanto fissato per la presentazione
(17.30; presentazione di cui, peraltro, mi sono accorta per caso, non essendoci
stata una pubblicizzazione vistosa). Semplicemente, avevo previsto che ci
sarebbe stata molta gente.
Per le
17.30, di gente non ce n’era molta, ce n’era moltissima. La sala brulicava di
centinaia e centinaia di persone, tantissime in piedi, accalcate tanto che, ad
un certo punto, mi è passato in mente che, ci fosse stata una scossa di
terremoto o altro evento catastrofico, saremmo rimasti intrappolati.
L’ospite più
importante, quello per cui la gran parte delle persone stava lì, è arrivato
alle 17.33 e un minuto dopo la presentazione, coordinata dal direttore de “Il
Mattino”, è iniziata. Hanno parlato Mauro Calise, Massimo Villone e Umberto
Ranieri. Tralascio di dare un voto ai primi due e ti dirò che l’autocritica ai
miglioristi fatta da Ranieri mi è sembrata seria e degna di rifletterci su.
Poi la parola è andata a Lui e s’è fatto, nella sala strapiena, un silenzio da chiesa, presto interrotto da applausi ripetuti e scroscianti. Quando ha finito (come era stato annunciato fin dall’inizio), ha lasciato la sala – stretto, come fosse una rock star, nella morsa di più di un centinaio di fotografi e di decine e decine di giornalisti e inseguito dalla stragrande maggioranza di quanti fin allora avevano compostamente e/o appassionatamente ascoltato i vari relatori.
Mentre,
nella sala, in pochissimi restavano a sentire l’intervento finale dell’autore
del libro, Lui, con grande sforzo, letteralmente correndo, le maniche della
camicia bianca arrotolata, la giacca sulla spalla, visibilmente accaldato,
guadagnava a fatica la macchina che doveva portarlo alla stazione, mentre
intorno tantissimi continuavano a scattare centinaia e centinaia di foto da
aggiungere a quelle già a lui scattate all’interno della sala.
Perché tutto
questo, caro direttore?
Come ben
sai, io devo ancora superare il lutto per Mario Monti (in cui, errori a parte
della campagna elettorale, ho fortemente creduto e che vedo ora, almeno al
momento, destinato ad un ruolo di molto inferiore a quello che, secondo me,
meriterebbe) e non parlo, perciò, da tifosa.
Ma devo dirti
che ho visto con chiarezza perché tanta gente stava lì per ascoltare,
applaudire, invocare Matteo Renzi.
Perché su
quello che lui ha detto si può discutere (personalmente, alcune le condivido,
altre no). Ma il modo in cui le ha dette (per me era la prima volta che lo
ascoltavo dal vivo), è stato, ti assicuro, decisamente “convincente” e
“trascinante”.
Perché da
tutto l'impasto del suo ragionamento restava soprattutto una cosa: il futuro è
davanti a noi, il futuro, bello e buono, è possibile, è nelle nostre mani: non
siamo un paese finito, anzi possiamo fare cose grandi, grandissime.
E tutta
quella gente che lasciava la sala per seguirlo, non ti pare inseguire
soprattutto questo, un vento della speranza?
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