martedì 12 marzo 2019

La non scuola per allerta meteo e i fiori di mandorlo delle rivolta dei Boia chi molla




Ho perso il conto dei giorni di scuola non fatti quest’anno (anno scolastico 2018-2019) per allerta meteo Non voglio entrare nel merito di quanto previsto dalla Protezione civile e di quanto deciso dal sindaco di Napoli e neppure inoltrarmi nella tematica – davvero tra le più importanti del nostro tempo – dei pesanti cambiamenti climatici.

Voglio, piuttosto, tornare al mio terzo liceo, quando abbiamo bucato settimane e settimane di scuola. C’era in atto la rivolta dei Boia chi molla, le barricate rendevano più che insicuro del tutto impossibile il raggiungimento delle sedi scolastiche e le autorità ne rinviavano l’apertura di giorno in giorno.

Di quel tempo ricordo, soprattutto, tre sentimenti: la noia di continuare a ripetere fino alla nausea il programma già svolto e la curiosità di andare avanti almeno in Italiano, in Storia, in Filosofia; la sensazione di vuoto, di sospensione, di solitudine (non era epoca di cellulari e noi compagne eravamo sparse in quartieri diversi e lontani: io vivevo in uno di questi quartieri periferici e lontani e sperimentavo cos’è vivere in un’isola, essere isolati); la gratitudine per la bellezza delle lunghe camminate in campagna, coi mandorli in fiore.

Su quella rivolta ho letto tanto, alcune cose interessanti, molte troppo ideologiche, o deboli, o inutili, o false, comunque incapaci di rendere davvero la complessità di ciò che è accaduto. Una certa atmosfera che ricordo bene l’ho ritrovata tempo fa in La rivolta dei gelsomini, (Città del Sole ed.) un libro di Filippo Rosace, persona che non ho il piacere di conoscere e da cui sono ideologicamente lontana.

Manca tuttora, un romanzo capace di far riviver un momento così decisivo nella storia di Reggio, ma non solo. Nell’attuale rinascimento della narrativa calabrese, una tale mancanza è quasi un urlo che chiede risposta.


Ripreso da Zoomsud il 16 marzo:

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