Ho perso il conto dei giorni di scuola non
fatti quest’anno (anno scolastico 2018-2019) per allerta meteo Non voglio
entrare nel merito di quanto previsto dalla Protezione civile e di quanto
deciso dal sindaco di Napoli e neppure inoltrarmi nella tematica – davvero tra
le più importanti del nostro tempo – dei pesanti cambiamenti climatici.
Voglio, piuttosto, tornare al mio terzo
liceo, quando abbiamo bucato settimane e settimane di scuola. C’era in atto la
rivolta dei Boia chi molla, le
barricate rendevano più che insicuro del tutto impossibile il raggiungimento
delle sedi scolastiche e le autorità ne rinviavano l’apertura di giorno in
giorno.
Di quel tempo ricordo, soprattutto, tre
sentimenti: la noia di continuare a ripetere fino alla nausea il programma già
svolto e la curiosità di andare avanti almeno in Italiano, in Storia, in
Filosofia; la sensazione di vuoto, di sospensione, di solitudine (non era epoca
di cellulari e noi compagne eravamo sparse in quartieri diversi e lontani: io
vivevo in uno di questi quartieri periferici e lontani e sperimentavo cos’è vivere
in un’isola, essere isolati); la gratitudine per la bellezza
delle lunghe camminate in campagna, coi mandorli in fiore.
Su quella rivolta ho letto tanto, alcune
cose interessanti, molte troppo ideologiche, o deboli, o inutili, o false, comunque
incapaci di rendere davvero la complessità di ciò che è accaduto. Una certa
atmosfera che ricordo bene l’ho ritrovata tempo fa in La rivolta dei gelsomini, (Città del Sole ed.) un libro di Filippo
Rosace, persona che non ho il piacere di conoscere e da cui sono
ideologicamente lontana.
Manca
tuttora, un romanzo capace di far riviver un momento così decisivo nella storia
di Reggio, ma non solo. Nell’attuale rinascimento
della narrativa calabrese, una tale mancanza è quasi un urlo che chiede
risposta.
Ripreso da Zoomsud il 16 marzo:
Ripreso da Zoomsud il 16 marzo:
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