Trenta anni fa, i ragazzi di Nisida erano diversi dai loro coetanei: per
linguaggio e modalità di presenza. Spiegavano questa distanza con l’essere sfortunati, ovvero in qualche modo
costretti dalle circostanze della vita all’errore.
E ci tenevano ad affermarsi uguali
agli altri nel desiderio, se non nella prospettiva, di un futuro sereno, in cui la normalità del vivere consentisse, la notte, di dormire tranquilli.
Oggi, i ragazzi di Nisida sono identici ai coetanei: per linguaggio e
modalità di presenza (tatuaggi in particolare), anche se i primi sfoggiano tute
e scarpe di costo molto più alto. Ci tengono, però, a sottolineare che il loro
modo di pensare, di agire è molto diverso da quello dei secondi. E affermano,
con una sorta d'orgoglio, che delinquere è una loro, libera, scelta di vita.
In questi due fermo-immagine, che mi attraversano
la mente in una luminosa mattinata d’inverno in aula, c’è l’incancrenirsi di
problematiche sociali mai affrontate in maniera vincente. E c’è, pure, l’enorme
difficoltà, degli adulti, di approcciare percorsi rieducativi che abbiano effettive possibilità di concretizzarsi,
per i ragazzi, in strade nuove.
(Nei giorni scorsi, è tornata, peraltro in
bocche che dovrebbero parlare un linguaggio istituzionale, l’espressione marcire in carcere: un modo, orrendo, di
calpestare la Costituzione nonché l’essenza della democrazia e il senso dell’umanità)
QUESTO SENSO DI SCONFORTO E, IMPOTENZA LO PROVO ANCH'IO CON RAGAZZI CHE HANNO FAMIGLIE ASSENTI E PERMISSIVE,PER INCAPACITA' DI RAPPORTARSI CON I PROPRI FIGLI . IN QUESTO I VOSTRI RAGAZZI SONO PIU' FORTUNATI !!!!
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