Mettiti
‘nt ‘na cantunera e ditti ‘u rusariu
Era l’invito/ordine (dipendeva dal tono)
con cui marito e/o figli invitavano l’ormai anziana moglie/madre a non mettere
bocca in affari che, a loro giudizio, non le competevano oppure a non pensare
più a lavorare, ma a badare solo alla sua anima, visto che alle necessità
primarie c’era ormai chi badava.
Il senso del termine cantunera, nel reggino, si identificava, quindi, con un angolo qualsiasi della
casa, anzi, meglio, con il più oscuro e insignificante.
L’accezione cambiava del tutto nell’espressione:
Ogni vota chi parra ietta ‘na cantunera ‘i
muru. Dove il senso è: ogni volta che Tizio (o Caio, o Sempronio) parla, fa
venire giù un pilastro: un parlare rovinoso, insomma.
Cosa che fanno, regolarmente, alcuni
esponenti politici che, mettendo sotto i piedi il loro ruolo istituzionale,
continuano ad avvelenare le falde del linguaggio comune degli italiani.
Guadagnano, così, voti (il che significa che l’inquinamento ha un retroterra di
decenni), ma peggiorano non solo il nostro presente, ma anche il nostro futuro.
Il loro linguaggio è un disastro anche dal punto di vista educativo (l’educazione
non è solo affare della scuola e non riguarda solo i bambini che, pure, ci guardano e ci ascoltano): e sull’educazione buona si fonda il futuro.
(È una benedizione per l’Italia che, ogni
volta che parla, il presidente della Repubblica, Mattarella, i pilastri, invece,
li consolida.)
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