«Dal 2010 ad ora,
siamo passati da 20 a 500 quintali di grano, coltivato a Chorìo di San Lorenzo
e in paesi vicini. Tutto è cominciato in una notte bianca, a Caserta, quando
comprai un pane, che ho portato qui e ho cercato di riprodurre. In quel
periodo, ho fatto amicizia con un signore che ha un allevamento di mucche bio
e, grazie a lui, con una famiglia di Chorìo di San Lorenzo, che coltivava il
grano. Con quella farina e il lievito madre ho rifatto il pane. Poi si è
aggiunta un’altra famiglia contadina – la madre era stata tra le prime, negli
anni Settanta, a mettere su un’azienda bio di olio e grano. E un grande mulino
a Melito. Ora, anche Lamezia, a Melia, ci sono diversi appezzamenti di terreno
coltivati a grano; forse riusciremo ad avere una ventina di ettari di terreni
abbandonati, sullo Jonio, e a far lavorare un mulino di Rizziconi. Grazie alla
filiera corta, (contadino, mulino, lavorazione), i contadini riescono ad avere
non più 19 centesimi, ma 80 centesimi al chilo. Se arriviamo a produrre almeno
1000 quintali di grano, si potrà iniziare il commercio. La cosa più bella è che
sono ragazzi giovani, ventenni o poco più ad occuparsene.»
Il ritorno del
grano in Calabria: uno di quei sogni che potrebbero dare un impulso nuovo alla
nostra economia: «Nel 1860, la Calabria aveva 780 mila ettari coltivati a
grano, nel secondo dopoguerra ce n’ erano 240 mila, ora siamo scesi a 30 mila.»
Paolo Malara – 62
anni, laurea in giurisprudenza, una «scontrosità da orso perché ne ho per tutti
e la verità dà fastidio», e la convinzione che «per decollare, non serve molto,
serve la voglia e la capacità.» – ha un panificio all’inizio di Pellaro. Prima
di lui c’è stata la nonna, seguita dalla madre; la quarta generazione è
assicurata dai figli: «Io glielo dico: non fate questo lavoro perché lo faccio
io o perché non avete altro da fare, ma perché lo amate.» I vari tipi di pane,
le focacce, i biscotti, i dolci: i suoi sono tutti prodotti di qualità, con
materie prime prodotte sul territorio e lavorate con cura, alla ricerca di
sapori identitari.
Da circa quattro
anni, Malara produce il Pane dello Stretto, con farine autoctone (Senatore
Cappelli, Maiorca e Segale) prodotte e molite in loco. Una bontà riconosciuta
dall’Accademia delle Imprese Europee e, da qualche settimana, come Prodotto
identitario di Reggio Calabria. Avrebbe voluto coinvolgere gli 87 forni di
Reggio più quelli di Villa e di Messina: ma non c’è stato verso. «Potevamo
diventare come Altamura – si rammarica Malara – ma noi siamo il paese di Nicola
Giunta: manca lo sguardo lungo, la capacità di programmare, il senso di
responsabilità, da noi la colpa è sempre di qualcun altro e vince l’invidia che
non vuole competere con ma distruggere chi riesce in qualcosa.»
L’elenco di ciò
che non va è lungo: dal degrado culturale, che trova espressione anche nell’incuria
del Lungomare, alla ben scarsa valorizzazione di Pellaro come uno dei centri
mondiali del kite surf, dalla carenza di prodotti di cui eravamo ricchi
(«faccio incetta di mandorle», ma già recuperarne, due, tre quintali non è
semplice) alla continua emorragia di persone («siamo tornati agli anni
Sessanta, i giovani vanno via tutti.»)
«Se dovessi usare
la ragione, anch’io sarei andato via da qui, avrei fatto altro. Purtroppo, o
per fortuna, ho usato il cuore.» È per passione che ha piantato, il primo
maggio del 1981, il verde della piazza della Stazione e, poi, l’aiuola davanti
al panificio, sta tentando l’attivazione di un Campo Sportivo a San Leo, e «se
riesco, voglio far fare la pasta col grano prodotto qua ad un’azienda che
conosco: anche solo i maccheroni, ma di grano nostro.»
A dare concretezza
ad ogni sua idea di animazione e rinnovamento del territorio è la sua compagna,
Fernanda, pesarese, mani d’oro nel preparare piadine: «È lei il vero motore
pulsante di quanto abbiamo realizzato.»
Note:
1.
*Io,
il grano a Pellaro, nel vallone dei Filici, me lo ricordo bene. Il caldo
dell’estate, le spighe dorate, la falciatura, i miei zii che lo ‘sciatavunu
sull’aria (dividevano i chicchi dalla
pula, nell’aia) i covoni, le balle di fieno: non solo una bellezza, ma anche
una ricchezza economica persa (come i fichi d’india che erano un vero e proprio
patrimonio per le famiglie, e le mandorle, quasi completamente scomparse).
2. *Estate
o inverno, il panificio Malara è una delle mie prime mete non appena arrivo in
Calabria. Natale avrebbe un sapore povero se non potessi mettere a tavola la
sua cuddura, o il suo pane stella cometa.
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