domenica 1 ottobre 2017

Missa Solemnis di Ferruccio Parazzoli








Non sono pochi i preti protagonisti dei romanzi di Ferruccio Parazzoli. Al di là delle valutazioni di merito letterario, merita attenzione e apprezzamento questo suo provare a risolvere in racconto problematiche teologiche e morali della cattolicità contemporanea ponendo al centro figure che l’Occidente post cristiano tende a marginalizzare quali reperti di una storia conclusa. Vicende, le sue, sempre spiazzanti e ben lontane da toni banalmente apologetici ed edificanti.

Protagonista del suo ultimo libro, Missa solemnis, edito da Bompiani, è un cardinale vecchio e malato, ispirato ma non ricalcato sul cardinale Martini, che vive in una casa per sacerdoti anziani, accudito da due preti e da una suora e visitato, ogni settimana, da un giovane padre spirituale. Già teologo ed esegeta soprattutto del Vecchio Testamento «Quando pensa alla Bibbia, il Cardinale pensa invariabilmente al Vecchio Testamento. È uno sbaglio, specie per un cattolico e per un esegeta, di cui non si è mai saputo emendare», abituato agli studi e al confronto «con il pensiero del dubbio e del rifiuto», non ha mai frequentato la gente comune «Non sono mai stato un prete di parrocchia, non ho mai sentito l’odore delle scale di quelle case. Non ho mai bussato a quelle porte.»

Ama i riti pomposi, sa ridere, anche se non tutti se ne accorgono, e ha un grande rispetto per il corpo: «… lo spirito è causa degli errori, di peccati, perfino delle malattie della carne. È lo spirito ad aver bisogno della guarigione, non la carne. La guarigione della carne la possono dare gli uomini con la loro scienza, con il loro senso della misura. La guarigione dello spirito la può dare solo Dio con la sua irrazionalità, con la sua dismisura.»

Ha avuto «una vita senza scosse», e questo, pensa, «può voler dire che Dio non è mai venuto a visitarti»: «Giorno dopo giorno, nella normalità della mia vita io ho dovuto cercarlo. Ogni mia azione, ogni mio studio, ogni mia parola, ogni mio scritto, era un richiamo senza risposta. Perfino la mia ascesa nell’Istituzione della Chiesa era diventata per me uno scandalo. La mia porpora era il silenzio di Dio. Dio non parla nella normalità. Se la mia porpora è il silenzio di Dio, darò gloria alla porpora per un’ultima volta, darò solennità al silenzio di Dio. Lo celebrerò nella Missa solemnis.»

Per questo, «si prepara, immagina, prova, riproduce nella memoria ogni parte della Missa solemnis: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei.». Si esercita nella vestizione dei paramenti sacri e, la notte, prende in mano la sua vecchia copia del Vangelo «un libretto dalle pagine ingiallite che il Cardinale porta con sé fin dall’adolescenza, prima di entrare, non ricorda esattamente perché, nella Compagnia di Gesù» e «cancella con il mozzicone di matita intere frasi che fino a oggi ha creduto di ritenere fondamentali.»

«Io lo so, l’ho insegnato. Ogni parola è legata. Non c’è altro filo che le regga. Ricucire. Dunque, non tagliare. Michea e Matteo, Isaia e Matteo, come in un’eco. O così o niente. Accetto. Così sia. La mia sconfitta è la mia gloria. Così sia. – si dice il Cardinale, consapevole della vicinanza della morte – Matteo e Michea, Matteo e Isaia, una stalla e un parto, il quotidiano solennizzato. Porterò la porpora fino all’estremo della sua solennità. Se il nostro è un Dio tessitore che collega il filo più tenue per intessere la più splendida veste, la mia porpora sarà il tessuto di Dio.»

Nessun commento:

Posta un commento