venerdì 3 maggio 2013

Veleno di Cristina Zagaria



«Ormai è quasi pomeriggio. Salta il pranzo e si dirige verso San Vito, alla ricerca della spiaggia dove andava con la sua famiglia quando era bambina. Non c’è traffico. Solo la sterpaglia bruciata dal sole smarrito nel cielo e grilli nascosti, troppo accaldati per cantare ai lati della strada che si allontana dalla città. La spiaggia è invasa dai bambini. Daniela sceglie l’angolo con gli scogli e quel trampolino fatto da una lunga pietra modellata dal mare e dalle alghe. Si spoglia. Scotta, il sole. A piedi nudi punta il mare. E si tuffa. Gelo. La pelle impazzisce. Caldo dentro. Freddo a filo dell’acqua. Trattiene il respiro. E va giù. Gli occhi chiusi. I capelli che cercano la superficie. La solitudine sott’acqua trova la via d’uscita e piange. Ed è felice. Felice di essere tornata. Di essere qui, ora».

Chi ha già letto qualche suo libro – Miserere, L’osso di Dio, Malanova (questi ultimi due di ambientazione calabrese) – sa bene che Cristina Zagaria, giovane donna i cui profondi occhi azzurro acqua accentuano l'aspetto delicato, non scrive storie da “ho due ore libere, vorrei coccolarmi con un bel racconto”, ma vicende toste, veri e propri pugni in faccia. Da cui si esce come un pugile più volte messo a tappeto dalla durezza dei colpi, con gli zigomi sanguinanti e il setto nasale rotto, ma consapevoli d’aver affrontato un tassello della realtà più sgradevole e ferita: quella che fa domande ineludibili.

Veleno si svolge a Taranto, dove Daniela Spera, nata all’estero da genitori pugliesi emigrati e felicemente residente a Parigi, torna: per stare vicino alla madre, ma soprattutto per l’ancestrale richiamo della sua città.

Al di fuori del lavoro come farmacista in un centro commerciale molto frequentato, Daniela vorrebbe darsi del tempo sospeso per trovare la giusta dimensione di se stessa nella nuova realtà. Ma bastano pochi incontri, quello con la piccola Tina e con Red Rex, con il quale comincia a parlare, per caso, una notte d’agosto, a trascinarla in un confronto corpo a corpo con la fabbrica che tiene la città «in ostaggio. Salute o lavoro. Presente o futuro. Sfiducia o reazione. Non si può scegliere».

«Presepe d’acciaio», «l’Ilva sembra la Sagrada Familia. Guglie, picchi, vuoti, luci. Lungo una ciminiera, la fiammata». Ma non è una scia di bellezza quella che vede Daniela Spera: piuttosto la contraddizione insostenibile di una sorta di divinità feroce, che dà lavoro e toglie vita. «Chi vive a Taranto è stanco di sentir parlare di Ilva, crede che tanto mai nulla cambierà. Mezzo secolo fa la fabbrica ha strappato la città di pescatori alla povertà assicurando lavoro e benessere, e anche oggi la città di uomini pensa di non poter fare a meno della città di acciaio. La diossina, il benzo(a)pirene e i metalli pesanti sono nemici invisibili. La polvere di minerale che ricopre la città è normale. Tutto diventa normale. La polvere si spazza via e i morti si seppelliscono. Si va avanti. Si va sempre avanti. Chi non vive a Taranto non riesce a immaginare la portata di quello che sta accadendo, il convivere con la morte, la scelta di lavorare per non morire di fame, anche se si ha la consapevolezza che la fabbrica sta lentamente uccidendo ogni famiglia. Qual è la verità?».

La ricerca della verità trasformerà Daniela in un’ambientalista convinta, una sorta di Erin Brockovich, che sale la sua personale via crucis incontrando malati di tumore, parenti di morti di malattie crudeli, persone che, ancora vive, sono ormai «fantasmi». Perché? Perché «Taranto è una parte di lei. Ecco perché, senza sapere il motivo, ha deciso: Io la voglio salvare. Non per altruismo, ma forse per salvare se stessa, per egoismo».

Come precisa l’autrice, Veleno «è un romanzo, ma tutti i personaggi sono veri. Veri sono i vivi e veri sono i morti. Vera è la battaglia che sta combattendo Daniela Spera, per difendere la sua città». Tanto che le persone reali che hanno ispirato i personaggi parlano in prima persona nella parte finale del libro – Le voci di Taranto – che si chiude con Il diario degli avvenimenti, dal 1961, quando sono iniziati i lavori per la costruzione dell’Italsider agli eventi tumultuosi degli scorsi mesi.

Un romanzo che, da un inizio più narrativamente immaginato, entra sempre più nelle pieghe, anche contraddittorie, della cronaca. Pieno di domande che non attendono risposte dagli altri ma spingono ad una presa di coscienza capace di tramutarsi in assunzione di responsabilità personale. Apertamente inquietante, ma tutt’altro che disperato: nello stesso cognome della protagonista c’è il convincimento che la lotta, per quanto faticosa e non immediatamente pagante, sia sempre il segno positivo del cambiamento.

La prima presentazione ufficiale alla Feltrinelli di piazza dei Martiri, a Napoli, martedì 7 maggio alle 18.

Pubblicato su Zoomsud
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