Il cappello di ciliegie (è scritto così, volutamente senza adeguarsi alla regola che vorrebbe ciliege) è stato
pubblicato, postumo, nel 2008. Lo sto leggendo solo ora e, mentre seguo
le vicende dei suoi “arcavoli” e “arcavole” non posso non chiedermi se
non sia il caso di collocare Oriana Fallaci, qualunque cosa si pensi di
lei e delle sue idee, se non al primo, almeno nei primissimi posti del
pantheon ideale di autrici italiane del 900.
Ricercando i fili delle storie personali
che, intrecciandosi a quelle della storia, hanno portato alla sua
nascita e, quindi, alla sua personale storia, la Fallaci restituisce,
con stile potente, formidabili personaggi femminili. Un monumento, vivo,
di parole: magnifico.
Ma non è su questo che intendo, adesso,
soffermarmi, bensì sull’inizio del secondo capitolo. Che racconta dei
pirati sulle coste toscane.
Ho letto anche libri nostrani
sull’argomento, ma mai uno che raccontasse, con tanta plastica evidenza,
come se ci si fosse dentro proprio adesso – concretezza dei fatti e
visceralità delle emozioni – ciò che per secoli hanno vissuto le coste
calabresi. Eppure, insieme alla violenza della natura e, in particolare,
quella dei ripetuti terremoti, le costanti occupazioni da parte di
svariate popolazioni e, in specie, le secolari razzie di arabi, turchi e
pirati non sono, forse, tra gli elementi fondanti del nostro essere
diventati come siamo? Capaci, tanto per fare un esempio, di resistere ad
ogni evento, eppure quasi preventivamente, rassegnati (magari solo
finché restiamo fisicamente o anche solo mentalmente all’interno dei
confini della nostra terra) ai colpi del destino e della storia?
L’epoca dei Turchi, in Calabria, è stato
il XVI secolo. Nel 1511 saccheggiarono Reggio, nel 1524 attaccarono
Scilla, Cetraro, San Lucido, Cirella. Nel 1534, dopo aver conquistato
Tunisi, l’imperatore Carlo V visitò molti paesi della Calabria, ma le
incursioni ripresero (Kahi’r-ed-din il Barbarossa nel 1545; Mustafà nel
1550; Dragut nel 1565), spesso guidate da rinnegati, ovvero da cristiani
diventati capi corsari. Scrive Francesco Barone: “Come prototipo di
calabrese transfuga nelle file turche è rimasto il celebre avventuriero
Occhialì, nato a Castella nel 1520 e di li portato via dai Turchi nel
loro assalto del 1536. Venduto schiavo al Corsaro Giafer di
Costantinopoli, dopo di aver rinnegata le fede cristiana e accettata
quella musulmana, prese il nome di Alì e l’incarico di capo dei
giannizzeri, che gli fu conferito per meriti pirateschi. Il suo coraggio
di spericolato pirata gli permise di fare una impensata grande carriera
ammiraglia della flotta ottomana, e, dopo di aver partecipato, alle
imprese turche a Napoli (1563), a Malta, ad Algeri e in molti altri
mari, nel 1571, prese parte anche alla battaglia di Lepanto. Egli mori
nel 1595, a Costantinopoli, e dispose la sua sepoltura nella maestosa
Moschea da lui fatta costruire sulla collina Top-Hana e, di li ancora
oggi domina il mare del Bosforo, base di partenza per tutte le sue
imprese marinare”.
A scuola, quand’ero ragazzina, m’avevano
fatto capire (o io avevo capito) che, dopo la battaglia di Lepanto, (7
ottobre 1571) i turchi, quelli dell’ “armi/all’armi… ‘rruvaru alla marina” erano stati definitivamente respinti.
Eppure, i bisnonni e le bisnonne dei
miei nonni – nel Settecento avanzato – li avevano ben (o mal, che si
voglia) conosciuti. E, nel Settecento, in Toscana, li ritrova Oriana, e
ricostruisce la loro vicenda che si intreccia a quella della futura
famiglia Fallaci.
Di cappelli di ciliege me ne
ricordo tanti nella mia infanzia: soprattutto, la mia paglia dai bei
nastri dai intrecciare sotto il mento con quel piccolo bouquet di frutti
che sporgevano sulla falda di sinistra.
Ma la storia, qui, dovrebbe cominciare, piuttosto, ‘da luvareddha du turco.
Già l’olivo sempre bambino – anzi, bambina, ché gli alberi, per noi,
sono di genere femminile – che continua a essere lì da qualche parte,
sulla curva che, lasciandosi da un lato il mare, s’inerpica, tra fichi
d’india, rosmarino e ginestre, verso l’ultimo riposo dei miei avi.
Pubblicato su Zoomsud con il titolo Il cappello di ciliegie e l'olivo del turco http://www.zoomsud.it/commenti/51915-il-cappello-di-ciliegie-e-lolivo-del-turco.html
Nella foto, Pellaro (RC) vista dal cimitero
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