Il primo libro che, da ragazza, ho comprato con soldi “miei”, frutto dei regali di qualche anniversario, è stato un testo di Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, uno di quei Laterza grigi cartonati, che poi si sono, via via, accumulati in libreria. Leggendo normalmente prima Il Giorno poi La Repubblica, per me non fu una sorpresa l’Inferno (1992), in cui era inserita anche
l’Aspra Calabria. Ma le inchieste “meridionali” di Bocca, l’“Aspra Calabria” in primis, mi diedero un’amarezza particolare, la stessa che qualche mese fa mi ha provocato anche la prefazione di Eugenio Scalfari alla ripubblicazione di quel testo da parte di un editore calabrese. E, questo, certo, non perché Bocca denuncia(sse) dei “mali”, ma perché quei mali rimanda(va) non a problematiche economiche, politiche e sociali da affrontare una ad una ed in blocco, bensì le riferiva ad un “male oscuro”, uno stigma che i calabresi porterebbero nella loro natura.
Quanto male ha fatto alla Calabria Giorgio Bocca, giornalista famoso e potente in grado di influenzare le valutazioni altrui, con i suoi giudizi superficiali e supponenti?
(Ben altra cosa sarebbero state valutazioni taglienti come lame affilate di un coltello d’amore che serve a tagliare bubboni, per ri-dare salute)
Zeno Cosini, trovandosi solo con se stesso durante un funerale, riflette che la morte santifica tutti e che difficilmente di un morto si riesce a parlare male. Con Giorgio Bocca, in queste ore, stiamo appunto assistendo a un fenomeno che potremmo forse dire caritatevole e misericordioso ma che di certo offende la razionalità e il vero storico.
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