Storia
del nuovo cognome s’intitola un libro della Ferrante.
Togliendo l’aggettivo, potrebbe essere un libro molto calabrese. Perché i
calabresi perseguitati dal loro cognome sono tantissimi: per chiunque, si potrà
trovare un cugino di settimo grado, un prozio della suocera del cognato, un
nipote della sorella della nonna del marito che ha o ha avuto a che fare con la
giustizia.
Capitò un giorno che un
mio zio – convocato in un ufficio di polizia perché lì davanti avevano trovato
la macchina che gli era stata rubata tempo prima – venisse accolto da: “Ma che
bel cognome che portate…”. Affermazione cui, senza tema di smentite, rispose: “Pure
il vostro, non c’è male…”
Anche a Napoli, il
cognome può essere un macigno. Ci sono ragazzi di Nisida che raccontano come,
ben prima di un qualsiasi loro atto illecito, si sono trovati addosso un bollo –
marchiato sempre più forte sulla loro carne – che ha contributo a determinare
la loro vita.
Eppure, la Costituzione è
chiara e il buon senso basterebbe: ognuno è responsabile di quello che è, di
ciò che dice, di ciò che fa, non dei parenti che si ritrova.
Solidarietà, dunque ad Aiello - candidato alla Regione, accusato di parentela con un cugino 'ndranghetista - ma con l’avvertenza che chi, come i 5 Stelle, e non solo, su cose consimili
ci hanno marciato e ci marciano tanto, farebbero bene, sempre, a misurare i
giudizi.
Ripreso su Zoomsud:
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