sabato 11 gennaio 2020

Il cognome: storia di un macigno calabrese, e non solo







Storia del nuovo cognome s’intitola un libro della Ferrante. Togliendo l’aggettivo, potrebbe essere un libro molto calabrese. Perché i calabresi perseguitati dal loro cognome sono tantissimi: per chiunque, si potrà trovare un cugino di settimo grado, un prozio della suocera del cognato, un nipote della sorella della nonna del marito che ha o ha avuto a che fare con la giustizia.

Capitò un giorno che un mio zio – convocato in un ufficio di polizia perché lì davanti avevano trovato la macchina che gli era stata rubata tempo prima – venisse accolto da: “Ma che bel cognome che portate…”. Affermazione cui, senza tema di smentite, rispose: “Pure il vostro, non c’è male…”

Anche a Napoli, il cognome può essere un macigno. Ci sono ragazzi di Nisida che raccontano come, ben prima di un qualsiasi loro atto illecito, si sono trovati addosso un bollo – marchiato sempre più forte sulla loro carne – che ha contributo a determinare la loro vita.

Eppure, la Costituzione è chiara e il buon senso basterebbe: ognuno è responsabile di quello che è, di ciò che dice, di ciò che fa, non dei parenti che si ritrova.


Solidarietà, dunque  ad Aiello - candidato alla Regione, accusato di parentela con un cugino 'ndranghetista -  ma con l’avvertenza che chi, come i 5 Stelle, e non solo, su cose consimili ci hanno marciato e ci marciano tanto, farebbero bene, sempre, a misurare i giudizi.


Ripreso su Zoomsud:







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