A Bova, alla fine dell’incontro
E Berta filava, Marinella Stilo,
coordinatrice dei forni sociali di Canolo, ha offerto a tutte le partecipanti,
una pagnotta di pane di iermanu (segale;
a Pellaro si dice: iurmanu).
Per me un’emozione doppia
perché, pochi giorni prima, avevo voluto omaggiare autori e intervistatori del Pellaro Libri Estate 2019 con pane
prodotto con grani della nostra terra (Ammiro molto chi ha ricominciato a
lavorare il grano dalle nostre parti, sia i contadini che seminano e trebbiano
sia i fornai che lo portano sulla nostra tavola).
L’ho portato a casa, il
pane di Canolo, e, in famiglia, ne abbiamo gustato, con gratitudine, sapore e
profumo.
In realtà l’emozione è (stata)
tripla. Qualche anno fa, ho dedicato un intero anno scolastico al pane,
sboccato nella pubblicazione di Parole come
Pane- La Sintassi di Nisida e l’occasione per me di leggere decine di
splendidi libri (ne cito solo uno: Pane
nostro di Predrag Matvejevic).
Pane e parole sono realtà
essenziali per nutrire corpo e mente. E simboli fortissimi per un’umanità che
volesse condividere, moltiplicandolo, il bello e il buono della vita.
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