Una portiera di macchina
chiusa. Poi, un’altra. Stanotte – non mi capita mai – mi sono già svegliato due
volte. Sarà che, questo, non è il mio letto e che, accanto a me, dormono Luca e
Giuseppe. Luca è il figlio di zio Paolo e zia Maria, che vivono a Milano, e
Giuseppe è uno dei figli di zia Lucia e zio Diego che vivono a Roma. Zio Paolo
è arrivato ieri con loro due – scendendo in macchina, si è fermato a prendere
Giuseppe – gli altri arriveranno per Ferragosto.
D’estate, casa di nonna
Margherita diventa un albergo, gente che viene, gente che va. Questa settimana,
che mia madre è occupata con un convegno (mia madre è sorella di zio Paolo e di
zia Lucia), ci resto a dormire anch’io.
Luca e Giuseppe
continuano a dormire, forse farei meglio a girarmi dall’altra parte e ritrovare
il sonno. Ma il piccolo tonfo delle portiere mi ha squietato. Ho avvertito
anche dei passi, leggeri, che sembravano avvicinarsi. Qui, di rumori, ce ne
sono molti: la strada, la ferrovia, gli aerei, per quanto pochi, sulla nostra
testa: nessuno ci fa caso. Eppure, non mi sento tranquillo.
La camera-ripostiglio
accanto alla nostra ha una finestra lasciata socchiusa. Mi alzo e, senza
accendere la luce, vado a mettermi dietro le imposte, scansando le cassette di
pomodori, melenzane e peperoni che stanno per terra. Al di là della rua, sotto
la casa dei nostri vicini, ci sono quattro poliziotti. Intimano di aprire. Il nostro
vicino appare sulla soglia in pantaloncini corti e canottiera. Entrano. Io
rimango fermo, senza respirare, per un tempo lunghissimo. Poi, escono in fila: prima
due poliziotti con in mezzo il nostro vicino, poi gli altri due poliziotti,
ciascuno con in mano un grosso sacco: documenti, penso.
Mi si alzano i peli sulle
braccia e sudo freddo. Vorrei svegliare mia nonna, telefonare a mia madre. Il
display del cellulare segna le 4.20. Devo provare a resistere per qualche ora. Mi
riaddormento alle sei, alle sette sono in piedi.
Mia nonna sta parlottando
con Caterina, sua sorella, che abita al di là del torrente, ed è venuta a
portare una cesta di fichi d’india e una borsata di fiorilli. È agitata. Da
quando si è alzata, ha visto strani movimenti nella casa accanto, troppi
parenti arrivati troppo presto. Pensa ad un guaio, una morte inattesa, un
malore improvviso. Racconto. Non si stupiscono. Come non s’era stupite, qualche
anno fa, quando hanno arrestato un altro vicino. E neppure un mese fa quando
c’è stata una lunga perquisizione in alcuni capannoni, con polizia e
carabinieri e due grossi cani che hanno fiutato droga in un tombino.
Penso che siamo
circondati da assenti.
Entra zio Paolo. La nonna
lo informa: «Finalmente. – sbotta – So’
trent’anni che lo dico, che questi non la contano giusta.» «Com’è
possibile che tu lo sai da tanto tempo e la giustizia lo scopre adesso?»,
sorride zio Paolo, ma senza allegria. Nonna alza le spalle. «S’avi piccati, mi ‘i ciangi (Se ha colpe, che le
pianga). Ma per ‘sto disgraziato mi dispiace.», dice zia Caterina. Nonna
annuisce: «Meno male che non mi sono accorta di niente. A vederlo tra due
poliziotti mi sarei sentita male.»
Sono
passate le otto. Luca e Giuseppe s’affacciano in cucina. Nonna mette a bollire
il latte e tira fuori una crostata di marmellata e una torta al cioccolato: «Mangiate,
che il mare vi aspetta. E non tornate tardi. All’una si mangia.»
Ogni
riferimento a persone o fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente
casuale
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