Avevo
undici anni, quando nello spazio ci andò Valentina Tereškova.
Il cuore battè forte per
lei, come aveva già fatto, tre anni prima, per Jurij Gagarin e, prima ancora,
per la cagnetta Laika.
Era bello e misterioso
quel loro girare insieme alle stelle.
E, anche negli anni
seguenti, me li immaginavo, sia lui e lei, non solo belli, ma proprio perfetti,
l’incarnazione di quell’ideale del kalos kagathos che cominciava, col greco, ad
affacciarsi nella mia vita.
C’è un particolare fastidioso
nella mia memoria su Valentina Tereškova. Su un giornale cui mia madre era
abbonata apparve (non so l’anno) una foto con una didascalia che trovai stupida. Non ricordo le parole esatte, ma il senso era: “E’ andata nello
spazio, ma, se vuole un figlio, deve tornare sulla terra”. Come se la maternità fosse la giusta diminutio d'aver tanto osato..
Dopo più di cinquanta
anni, nello spazio ci va una donna italiana.
Stavolta, le immagini e
le notizie sono così continue che, più che immaginarla
può sembrare quasi di conoscerla.
Resta che è bellissimo
quel suo sorriso nel cielo.
Arricchisce la bellezza del blu notte punteggiato
di stelle.
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