Dall’inizio
del 2014 ad oggi, ho letto per piacere (ovvero escludendo testi che, per lavoro
o altro, ho dovuto leggere) 48 libri:
28 scritti da uomini, 20 da donne.
Quello
che sto leggendo, il 49°, è di una donna che, per i gialli, usa uno pseudonimo
maschile (Robert Galbraith, ovvero J.K. Rowling).
Insomma,
scelgo cercando testi che – dal tema, dalla trama, dal titolo, dalla copertina,
da qualche recensione – penso mi possano interessare. Che siano scritti da un
uomo o da una donna lo considero un elemento più accessorio che secondario.
Quando,
per un qualche motivo, ho bisogno di ritrovarmi,
mi affido a due libri molto diversi tra loro, uno di una donna, Jane Austen, Persuasione e l’altro di un uomo,
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa.
Non mi
sembro, quindi, in linea con la ricerca inglese, di cui tratta oggi Enrico
Franceschini su Repubblica, secondo cui le donne leggono soprattutto libri di donne
e gli uomini libri di uomini.
E sono
convinta che, almeno dalle nostre parti, ci siano più donne che leggano libri
scritti da uomini che uomini che leggano libri scritti da donne (e poiché sono
le donne a leggere più degli uomini, questo è uno dei motivi perché si leggono,
in generale, più libri di uomini che di donne).
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