Celebrazione
della vigilia dell’Assunta. Chiesa del reggino, non importa quale, non sarà
diversa da molte altre.
Fedeli:
pochi, meno del solito. (Fa molto caldo, si sta a mare e molte donne sono
immerse nelle fatiche dell’organizzazione per l’indomani, vero tour de force di
cucina).
Riferimento
ai cristiani perseguitati (preghiera che oggi, in Italia, secondo le
indicazioni della Cei, avrebbe dovuto accumunare tutti i partecipanti alla
messa): zero.
Il
mancato riferimento ai cristiani perseguitati, così come la genericità della
preghiera dei fedeli (ben lontana dalle problematiche della comunità locale) è
un sintomo della distanza tra i proclami ufficiali e l’effettivo percorso delle
comunità locali.
Ho
già fatto su Zoomsud*, qualche considerazione su “chiesa e processioni”
Vorrei
continuare a esprimere qualche opinione dall’interno della cattolicità.
So
di farlo su terreni scivolosi, che abbisognerebbero di riflessioni più ampie,
sfumate e complesse.
Esprimo,
quindi, più che convinzioni certe, domande inquiete, di carattere strettamente
personale:
- La prima, che non riguarda specificamente la festività odierna, è questa: l’introduzione della (comoda) messa vespertina del sabato come celebrazione valida per ottemperare il precetto, può essere considerata una delle concause che, nel tempo, hanno svuotato il senso della domenica come giorno “altro”; dedicato a Dio?
- La seconda corrisponde ad un mio fastidio nei confronti e del Capodanno e del Ferragosto, due feste che non ho mai amato (mai capito perché si debba essere particolarmente contenti il 1 gennaio né perché bisognerebbe banchettare il 15 agosto immergendosi nella folla della spiaggia o della montagna) tanto da metterci un bel po’ di anni a imparare a sopportarle. Fastidio cui corrispondono questi interrogativi: Perché caricare su due feste civili di carattere vacanziero (Capodanno e Ferragosto) due feste religiose di precetto? Come memento, al centro del divertimento più terrestre, della salvezza eterna? Come tentativo di cristianizzare il tempo (cosa evidente anche in altri “accoppiamenti”, per esempio nella festività di san Giuseppe artigiano il 1 Maggio)? Perché non lasciarli, Capodanno e Ferragosto, alla loro natura di feste pagane o, comunque, a-religiose, riportando l’obbligo della messa rispettivamente alla prima domenica disponibile di gennaio e di agosto?
La proclamazione del dogma dell’Assunta (l’ultimo nel tempo della Chiesa cattolica) è del 1950. Sebbene il culto della Vergine sia radicato, diffuso e sentito, arrivano (oralmente, per sms, su fb) decine di “buon Ferragosto”: che equivalgono al “buon Capodanno”. Dove quasi nessuno intende riferirsi alla Madre di Dio, o all’Assunta, ma, proprio, appunto, ad una tradizione di “pausa possibilmente festosa e mangereccia, da trascorrere con amici e parenti”. Uno scacciapensieri estivo che fa pendant con quello invernale, insomma.
Conclusione
(piccola, strettamente personale, e in progress). Delle tre feste mariane (1
gennaio, 15 agosto, 8 dicembre), mi sentirei più a mio agio che, lasciando a
giorni di mera vacanza Capodanno e
Ferragosto, restasse extra domenica solo l’Immacolata Concezione. In lei, nata
senza peccato, in quanto destinata a
essere la madre di Dio, si realizza anche il passaggio dalla vita terrena a
quella eterna. Senza passare dalla morte.
Intervistato da Paola Bottero per la prima serata
di “Scilla in passerella”, il giudice Gratteri ha detto che abolire le
processioni è “darla vinta agli ‘ndranghetisti”, meglio sarebbe un registro dei
portatori delle statue.
Opinione certo autorevole – il noto magistrato è
anche consulente della commissione parlamentare antimafia – che mi lascia,
però, dubbiosa.
Che una processione si faccia o meno niente dà e
niente toglie alla ‘ndrangheta che, essendo, soprattutto, un sistema economico
illegale, gradisce certo il riconoscimento sociale della comunità
(eventualmente espresso anche con l’inchino del santo di turno) ma risente
davvero solo dell’attacco ai “suoi” soldi, dell’affermazione, di contro alla
sua, di un’economia “fiorente e legale”.
Ma che una processione si faccia o meno è molto,
molto, importante per la Chiesa (in specie per quella meridionale e, ancora di
più, per quella calabrese).
Uno. Dal referendum sul divorzio (1974) in poi, è
sempre più evidente che anche l’Italia (come l’Europa) è entrata in una fase di
“post-cristianesimo”. Ovvero che, mancando sempre di più l’identificazione tra
il senso comune e i principi morali della religione, l’adesione alla chiesa è:
o) la permanenza residuale di abitudini tradizionali o) una scelta voluta e
consapevole (che deve fare i conti col fatto che sempre di meno essere
cattolici è di moda, anzi).
Due. La prima fa si che certi riti (per esempio,
la processione del patrono) e certi sacramenti (battesimo, prima comunione,
matrimonio) vengano vissuti da un numero di persone più ampio di quello che
partecipa alla messa (snodo centrale dell’identità cattolica). E che, un buon
numero di chi viene battezzato non viene educato da cattolico e un buon numero
dei ragazzi della prima comunione non mettano più piede in chiesa fino al
momento di sposarsi ecc. ecc. La seconda abbisognerebbe di una vita
parrocchiale più ricca di quella esistente, soprattutto su alcuni aspetti per
così dire “culturali”: corsi di “catechesi per adulti”, “lectio divina” (la
lettura commentata e meditata della Bibbia), dibattiti su ogni aspetto della
società contemporanea. Ovvero, una riflessione costante su “cosa vuol dire
essere cattolici” e un tentativo di mettere in relazione il Vangelo con le
questioni dell’oggi.
Tre. E’ chiaro che la grande forza storica e
attuale della Chiesa cattolica è il suo essere non “setta” (dei migliori, dei
perfetti), ma casa, potenzialmente, di tutti: e, quindi, di chiunque (qualunque
siano i suoi limiti) voglia considerare centrale per la sua esistenza, presente
e futura, Gesù Cristo.
Quattro. La crescita dei “cattolici per scelta” e
non per (stanca e, spesso, paganeggiante) tradizione sarebbe, però, soprattutto
nel Sud dell’Italia, un potente lievito di crescita umana e rafforzerebbe un
tessuto sociale che appare, in troppi luoghi e troppe situazioni, ormai
consunto e lacerato.
Cinque. Dato per scontato che la fede è fatto
intimo e che la vecchietta ‘nta cantunera che dice un rosario appresso
all’altro può essere “nel cuore di Dio” più del professore che dimostrasse l’assoluta
verità scientifica dei miracoli di Lourdes, i riti identificativi (pubblici)
dell’appartenenza religiosa hanno a che vedere con la sensibilità storica.
Sei. Le processioni sono (in gran parte) legate
alle feste. Le feste si esprimono con bancarelle, cantanti e fuochi
d’artificio. Tutte cose cui il paese o la contrada può, per uso, per
divertimento, per noia, partecipare. Ma a quanti si ritengono cattolici tutto
ciò ha davvero qualcosa di religioso da dire? E, ancora di più: le processioni,
oggi, fanno “catechesi”, ovvero “formano dei credenti” o no?
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