All’ingresso del rione, una sedia sfondata e un
scatola di metallo indicano che è tornato il contrabbando di sigarette. Dalla
porta semiaperta di un garage, si intravedono scaffali di pasta, detersivi,
carta igienica. Qualcuno campa così, con gli spacci «privati» e
clandestini in casa, nei magazzini, in strada. Un furgoncino bianco
vende pizze e panzarotti. I ragazzini giocano a calcio in uno spiazzo
attraversato dalle automobili. Panni stessi a ogni finestra, donne e uomini
affacciati passano il tempo guardando giù. Non c’è un’edicola, una tabaccheria,
una gelateria, un bar. Manco l’autobus staziona più, passa e fugge.
«Non c’è
attenzione – dice don Ciro Nazzaro, il parroco-, non c’è nulla, solo la chiesa
e la scuola».
Entra una
bimba con due amiche e timidamente,
in un italiano stentato, chiede al prete notizie di un micetto che suo cugino
aveva messo in una scatola: non si trova più, e potrebbe essere finito male
perché ha sentito dire che quando tocchi un gattino così piccolo poi «a’
mamma o’ schifa», non lo vuole. Don Ciro la rassicura, regala tre
caramelle poi, quando è fuori, racconta che questa ragazzina con fratelli e
cugini se la ritrova spesso in parrocchia fino a tardi la sera, perché la «madre
fa il mestiere più antico del mondo» e la manda via.
Ottomila abitanti,
più o meno, al Rione Salicelle di Afragola, provincia settentrionale di Napoli,
quella che va verso Caserta. E una percentuale altissima di minori. Tre,
quattro figli a donna, s’è toccato pure il record di 17. Con storie
all’ordine del giorno di mamme-bambine.
«Dodici, tredici
anni, è successo in passato — racconta l’insegnante Adele Sibilio, che è anche
volontaria del centro ascolto della parrocchia — adesso la situazione è
migliorata, ma ragazzine di 15-16 anni incinte se ne vedono ancora».
All’Istituto
comprensivo Europa Unita, 1.150 studenti dalla materna alle medie, è iscritta
un’alunna incinta, l’anno scorso c’era un compagno che aspettava un bimbo da
una coetanea di un’altra scuola e adesso è un papà quindicenne.
«I casi estremi non così frequenti — precisa la preside, Giovanna Mugione —. In
cinque anni è la prima volta che mi succede». Anche se qui, certo, i genitori
sono giovani, e molto. «Per mancanza di prospettive, non hanno un progetto di
vita, un’aspirazione professionale. Sono diffidenti, hanno paura del mondo che
c’è fuori, perché non hanno avuto modo di conoscerlo». E immaginano orrori. «A
questi ragazzi nessuno ha mai raccontato una favola per metterli a letto…».
Non ci
sono i soldi per le gite scolastiche, ma nemmeno per i libri. «Andiamo avanti con le fotocopie. Una didattica
alternativa, ci arrangiamo come possiamo, con dei fondi europei siamo riusciti
a fare anche laboratori di lingua e di informatica. Ma avremmo bisogno di ben
altri strumenti, del tempo pieno, i bambini delle elementari escono alle 12.30,
e dove vanno? Non possiamo essere considerati come una scuola di Napoli centro
o del Nord. Qui c’è bisogno di tenere gli alunni a scuola anche il pomeriggio».
Perché le
Salicelle è un altro Paese. Ai
margini dei margini. Una colata di cemento versata negli anni Ottanta con la
219, la legge per ricostruzione dopo il terremoto. Riempita tra assegnazioni e
occupazioni abusive di senzatetto e famiglie disagiate di Napoli e Afragola. E
poi lasciata lì, come un satellite lontano. Senza neanche i nomi della strade.
Qui tutto è via Salicelle, sulle buste delle lettere sono indicati gli «isolati»
e i «nuclei». E le parole già spiegano tutto.
Il progetto
originario prevedeva una mercato al centro dei caseggiati, con delle gallerie
di plexiglass: mai dato in gestione, è rimasto solo lo scheletro. L’edificio,
che adesso, ridipinto di giallo, sarà occupato dal commissariato, per tre volte
è stato spolpato: vetri, infissi, porte, rame. Tutto torna buono dove
non c’è nulla. È successo pure che il vicino campo Rom abbia subito un
furto. In ogni palazzina c’è almeno un uomo o una donna sottoposta a
misura di prevenzione, se non è in galera. Borseggi, rapine, piccole
truffe, compiute soprattutto in trasferta. Caserta, Benevento, Avellino o anche
fuori dalla Regione, verso Nord.
Non c’è
spaccio, non ci sono scontri tra bande: i clan — soprattutto quelli più prossimi, ad Afragola — si sono messi
d’accordo e hanno deciso che qui non si spara né si fa clamore.
Pizzo, usura, droga, contrabbando, voti facili, che si comprano con un chilo di
carne macinata. Uno sterminato bacino di manovalanza fresca e a buon mercato.
La palestra di karatè che una volta toglieva dalla strada 50-60 ragazzini,
formando pure titoli europei, è stata
bruciata, non c’è più.
«Grande povertà
materiale e morale — dice don Ciro — macerie umane». Come se qui, in questo
pezzo di Italia dimenticato, vigessero altre regole. Al punto che la domenica
in chiesa il parroco predica:
«Non dovete
violentare i bambini, l’incesto è peccato». Senza giri di parole. A costo di
ritrovarsi dei bossoli di minaccia sul sagrato.
È successo, il
parroco non ne parla volentieri, ma ci sono state bambine che sono
venute da lui a raccontare di essere state stuprate in famiglia. Una
volta, anni fa, una ragazzina rimasta incinta gli ha spiegato: «Meglio
mio padre che un altro, almeno lui so chi è». Nel resto d’Italia è
tabù, qui può accadere. «È il modus vivendi che fa diventare normalità un fatto
anomalo. È come quando vedi un incidente stradale: la prima volta resti
sbalordito, se ne vedi tutti i giorni non ti stupisci più…». Ancora cronaca dal
passato: una famiglia è stata arrestata perché prostituiva i bambini, cinque
euro a cliente. Una mamma è stata accoltellata dal compagno davanti alla
figlia. Casi estremi, ma storie di violenza negli appartamenti del rione se ne
raccontano. E le donne, che pure mandano avanti la famiglia, spesso subiscono,
hanno meno strumenti, abbandonano prima la scuola, alcune hanno un
livello di istruzione così basso che non riescono nemmeno a prendere la patente.
È un rione triste,
Salicelle. I malati di depressione sono tanti, i pochi soldi che
circolano in alcuni casi vanno in droga. La prima volta che il
cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, è venuto qui, un ragazzo gli ha chiesto:
«Come state messo a scarpe?». La piazzetta dietro alla chiesa era piena di
cocci e siringhe. Sepe è tornato, lo scorso Venerdì Santo per la via Crucis. Ha
preso a cuore il quartiere, perché «da molti considerato tra quelli più a
rischio della periferia di Napoli — ha detto —, quasi un deserto umano e
spirituale dove regna solo povertà e violenza». Questa volta, però, ha trovato
tutto pulito. Don Ciro ci tiene: «Raccontate anche le cose buone».
La cooperativa Betania creata dalla parrocchia con i ragazzi del quartiere sta
per prendere in gestione l’attiguo centro polifunzionale, ci sarà anche
l’ambulatorio. È molto qui, ma si potrebbe fare di più.
«Le istituzioni si
devono accorgere di questo quartiere — dice la preside Mugione — non solo
quando ci sono casi gravi o le elezioni. Qui c’è la desolazione più brutta che
si possa immaginare».
(Poi ci sono anche fiori sul cemento, ragazzi
straordinari, esperimenti di scuola di strada, corsi di danza a un euro, volontari,
educatori, insegnanti speciali, studenti che arrivano alla laurea e fanno
grandi cose. Mi ha scritto via Twitter un’allieva della scuola media: si è
sentita offesa dal mio articolo su Salicelle pubblicato sul Corriere. Mi
dispiace profondamente. L’intento è portare attenzione su un pezzo di Italia
dimenticato. Nessun giudizio sulla scuola – che fa miracoli – e su tutti quelli
che provano ad avere una vita normale in un contesto difficile. Anzi: grande
ammirazione)
Questo post di Alessandra Coppola, dal titolo: Il rione delle mamme bambine. Dove nessuno
racconta favole l’ho letto su la 27
Ora del Corsera domenica 21 aprile. E, non poteva essere, per me, solo uno
dei tanti pezzi interessanti che quel blog fornisce alle proprie lettrici.
Salicelle è diventato per me un nome particolare
quando, in un tramonto di fine dicembre del 2007, durante una visita di
Nicolais a Nisida, c’è stato un collegamento skype tra i nostri ragazzi e
quelli che intorno a don Ciro partecipavano ad un progetto comune, quel
100Napoli, messo in piedi dal cardinale Sepe e dall’allora ministro dell’Innovazione
Nicolais. Progetto che aveva portato da noi Roberto Dinacci.
Salicelle l’ho conosciuta più tardi, quasi due
anni dopo e così ne scrissi sul mio blog di allora (che aveva lo stesso nome
dell’attuale) venerdì 4 dicembre 2009:
Un tappeto pietoso, dice don Ciro. Ma non basterebbero
morbide coltri e neppure robuste lamine d’acciaio a velare le responsabilità di
tutti quelli che hanno più titolo – politico, economico, sociale – ad occuparsi
della cosa pubblica.
Si potesse, per l’aria dolce e quieta di un mite tramonto rosato, fingere
di non trovarsi in un luogo reale, magari ci si potrebbe compiacere con gli
scenografi capaci di restituire, per il film di qualche regista attento ad ogni
particolare, il senso della desolazione di una lunga guerra.
Nel grigio che colpisce come un pugno in faccia, la piccola luce di una
parrocchia con le mille attività e progetti di un prete che continua a credere
in Dio e negli uomini.
Siamo in pellegrinaggio a Salicelle, quartiere di Afragola,in uno
dei tanti luoghi in cui Roberto Dinacci ha fatto molto più del suo dovere. (“Che
cosa si può fare, Roberto?” gli chiesi nei giorni dell’emergenza spazzatura.
“Il proprio dovere, Maria. Ognuno deve fare il proprio dovere ogni giorno”).
Con me ci sono Francesca e Patrizia, che l’hanno conosciuto dopo e
Fabio, che ha condiviso con lui la messa in atto del progetto 100Napoli.
Dice don Ciro, commosso, mostrando i suoi messaggi che custodisce
nel cellulare e poi portandoci a vedere il suo laboratorio informatico,
frequentato da giovani e adulti: “Gli piaceva stare qua, fermarsi con noi. Per
tutti quelli che l’hanno conosciuto, anche per poco, è stato un dono e saperlo
dovrebbe consolare della sua perdita. Ma bisogna continuare le cose che lui ha
iniziato se no, invece di essere un seme che morendo dà frutto, sarebbe un seme
inutile”.
Nei locali della chiesa, dalle incredibili mattonelle a scacchi bianche e
rosse, centinaia di bambini dagli occhi vivaci e allegri. Ci fermiamo in una
delle grandi stanze dove un bel gruppetto sta scrivendo una preghiera alla
Madonna.
Patrizia Rinaldi improvvisa una storia su una magica signora che fa
bellissimi regali, a partire dalla libertà, ai bambini che, sperdutisi,
arrivano da lei e chiede ai piccoli interlocutori di aggiungere doni. Nessuno
indica qualcosa di materiale, ma piuttosto valori, come la generosità, la
capacità di aiutare chi sta male, il cuore pulito. Un bambino dice: i fiori del
perdono; gli altri ne indicano i colori, rosa, azzurro, rosso, magenta, terra
di Siena, e i profumi: “di focaccia”, il più saporoso.
Commenta Francesca: “E’ inevitabilmente qualcosa che mette a tacere ogni
cosa dentro e che nello stesso tempo crea un rumore da dover ascoltare, svuota
e colma allo stesso tempo. Era una desolazione di cui io non conoscevo ancora
simili, eppure lì in mezzo a quella gente, a quei brandelli di muro, io
immaginavo Roberto sorridere, perché lì c’era la vita vera, quel desiderio
silenzioso ma leggibile della vita, che a lui piaceva esaudire. Penso che se
c’è la possibilità di intervenire su quei piccoli, grandi ‘cuori puliti’,
bisogna farlo, indipendentemente dal modo, urge il bisogno di individuare altre
strade prima di cadere su quelle scaglie di vetro… Perché purtroppo non si può
guardare in tutti quegli occhi e farsi una ragione…”.
Qualche giorno dopo, il 7 dicembre aggiunsi una favoletta, Il cavaliere che
si fece ponte, con questa premessa: Alle Salicelle Patrizia Rinaldi ha
iniziato a raccontare una storia. I bambini hanno suggerito molte soluzioni e
poi le hanno dato tre parole chiave intorno a cui inventare un racconto per
loro. Il mio è solo un fiocchetto sul regalo che Patrizia farà a loro e a noi.
La favoletta s’intitolava Il cavaliere che si fece ponte:
Un giorno, nel mare davanti ad una città bellissima ma un poco sfortunata,
apparve un grande castello, che navigava tranquillo. Un sottomarino magico
reggeva le torri, i merli, il muro di cinta, e, in più, alberi, animali e
persone.
Per un incantesimo, una principessa dai capelli biondi, che ogni tanto si
affacciava alle finestre del castello, doveva vagare nel golfo raccogliendo nel
suo palazzo tutti i bambini che si perdevano per le strade della città
tumultuosa e a ognuno doveva regalare la strada per la libertà.
Era molto popolato il castello e con lei c’erano altre principesse che
avevano il suo stesso compito, ma trovare le giuste vie, per quanto
s’affannasse, era molto difficile e non sempre ci riusciva.
Dopo anni e anni, la stanchezza ormai si faceva sentire. Le parve che ormai
non avesse più forza e gli occhi le si appannavano nel districare viottoli e
viuzze. Chissà – si chiedeva sconsolata – se mai riuscirò ad essere io stessa
libera da questo incantesimo che mi trascina per mare, senza lasciarmi coltivare
tranquilla i miei fiori in un castello saldamente poggiato sulla terraferma.
Fu allora che una barca inattesa portò nel suo castello sul mare due
cavalieri. Erano forti e gentili e dopo tanto tempo la principessa sentì che il
vento era fresco e felice.
Il più giovane dei cavalieri con uno sguardo incantato sospinse
l’isolotto-castello e cominciò a costruire ponti su ponti per far uscire i
ragazzi, ma una strega cattiva decise di tagliarli e risospingere
l’isolotto-castello nel mare, lontano. Lui si oppose con tutte le forze e,
quando tutti gli altri ponti furono strappati via dalla strega, si fece egli
stesso ponte. L’unico che legava l’isolotto-castello alla terraferma, l’unico
che i bimbi perduti potevano percorrere per ritrovare la strada.
Con l’aiuto dell’altro cavaliere, la principessa scoprì una piccola scatola
magica. Non c’era la chiave e la principessa dovette fare molti sforzi per
riuscire ad aprirla. C’erano dentro piccoli fogliettini di carta, bianchi,
senza nessuno scritto, nessun disegno. Ma a tenerli in mano a lungo, con cura,
in silenzio, cominciavano a emanare una scia di profumo che, come spiegarlo?,
aveva uno sguardo e narrava sempre la stessa storia: quella di un ragazzo che
aveva sempre amato tutti, ma soprattutto i ragazzi perduti.
La principessa si convinse che la fatica di navigare il golfo senza riposo
diventava un grande dono se erano in tanti ad andare assieme per mare e
per terra a cercare le strade che avrebbero fatto trovare casa ai bimbi
perduti.
Il cavaliere fattosi ponte, lottando allo spasimo contro la strega nera,
ancorò l’isolotto-castello ad uno scoglio. Allora, in un istante, a raggiera
apparvero decine di istmi: una ruota magica, di cui egli era perno e motore.
Grigio scuro, quando si percorreva per entrare, ogni ponte della ruota
diventava d’argento e d’oro quando se ne usciva, tra la stella-sole e il
satellite-luna, liberi, verso gli orizzonti infiniti del mondo.
E quando tanti e tanti e tanti ragazzi ebbero finalmente ritrovata la via,
il cavaliere sconfisse definitivamente la strega dai neri tentacoli e la
trasformò in sabbia. Quanto a lui divenne la stella più brillante sul mare e la
sera andava a dondolarsi sull’isolotto, che divenne casa di gabbiani e di ogni
specie di fiore.
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