Sarà sempre così? Sarà
questo, per chi vive e lavora lontano dall’estremo sud in cui è nato, un giorno
teso tra un “andare” dove il dovere chiama – Settembre, andiamo. E' tempo di migrare. (Gabriele D’Annunzio) –
e un “lasciare” il cuore ad altro mare, altre colline, altri colori – Settembre,
son mature le carrube… (Salvatore
Quasimodo), uno iato incolmabile tra quello che “guadagni” e quello che “perdi”?
Se Aprile è il mese più crudele, genera / lillà da terra morta,
confondendo / memoria e desiderio, risvegliando / le radici sopite con la
pioggia della primavera (Thomas Stearns Eliot), Settembre può essere il più
dolce.
Non
per quel declinare lento dell’estate che lentamente
socchiude/i grandi occhi pesanti di stanchezza mentre fresca/scende ai fiori la pioggia e Gocciano foglie d'oro/giù dalla grande acacia (H. Hesse).
Ma
perché conosce l’attesa, trepida e magari preoccupata eppure pregna di
speranza, intima, quieta, degli inizi e dei ri-cominciamenti. Senza botti,
cenoni, brindisi, regali e stordimenti – è davvero il primo giorno dell’anno.
Questa l’ho scoperta oggi. E’
di Mary Jo Salter, Emily Dickinson Lecturer in the Humanities al Mount Holyoke
College, lo stesso in cui la Dickinson andò a scuola per un anno.
Com’è difficile prendere
settembre
semplicemente e non come un
presagio
di qualcosa di più duro.
Solo come saponata nell’aria,
fresco profumo
strofinato a lucido del
significato o innocente
della cosa fredda intesa
freddamente.
Come strattona forte il cuore
alla fine
dell’estate e anela a farla
sua
quando vola via
al suggerimento della prima
mite brezza.
Ci lascia solo a poco
a poco, ma per chi vede
l’estate come un assoluto,
Puro Stato di Luce e di
Calore, l’altezza
alla quale non si può elevare
un dubbio,
non appena una foglia si
stacca dall’albero
non può cadere un altro
giorno immune
dalla deriva della
malinconia.
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