Distese infinite di querce – sono stati i monaci basiliani i primi a piantarcele mille anni fa – e di castagni. Vallate che sprofondano, degradando dolcemente o violentemente, a picco, nelle viscere della terra e costoni ammantati d’alberi che si innalzano verso l’alto azzurro, con qui e là rocce di pietra scura e massi bianchi; lontano, non sempre visibile ma sempre presente, il mare.
Colori, tanti. Ma il colore dominante di Africo è un verde solare che riempie gli occhi.
Quante scoperte si possono fare in una domenica d’agosto ad Africo? La cortesia degli ospiti – i volontari che stanno ridando forma e identità ad Africo Antica con un lavoro di ripulitura dei sentieri, di rimessa a punto delle case da canto epico – te l’aspetti. Ti stupiresti se la gente verace di Calabria – in quest’angolo osco come nel circondario magno-greco – non imbandisse, per amichevoli visitatori, una tavola ricca, col pane di grano, il pecorino, la pancetta, i pomodori secchi, i carciofi sottolio, bocconcini di focaccia ripiena agli ortaggi e il ragù, saporoso e leggero, dell’estate.
E t’aspetti che l’aria sia impregnata di storie del passato – quelle di ogni luogo, amore e morte, violenza e santità – rese qui più intense da un aspro, storicamente pressoché inaccessibile, isolamento; dalla secolare fatica di sottrarsi ai pericoli provenienti dal mare; dallo sforzo duro di strappare coltivazioni alla montagna; dalla quotidianità vissuta, nel bene e nel male, come destino senza scampo; dagli spaventi schiantanti (non è un caso che il dialetto chiami schiantu lo spavento) e dagli stupori estatici di quest’eremo senza confini.
Ma non ti aspetteresti tutte queste mucche, capre, pecore che pascolano libere. E i maialotti inseguiti da bambini che ci giocano felici e non sanno che privilegio è questa loro prima infanzia ancorata alla terra, a questa terra. E l’odore intenso della nepitella. E questo senso di infinito, di solitudine accogliente e liberante.
Soprattutto, non ti aspetti l’approdo, (avventuroso) in gip, al paese vecchio, le case che i volontari stanno ricostruendo, l’indicazione “Scuole elementari” di una costruzione (di epoca fascista) così grande che ti potresti chiedere in quale ex grande città sei mai finita; la chiesa, che ti prende al cuore come ti è successo solo per la Cattolica di Stilo la prima volta che ti è apparsa da lontano (domanda a margine: non si costruiscono più chiese belle perché è diminuita la fede o la fede è diminuita perché non si costruiscono più chiese belle?).
E ti chiedi perché tanta storia, tanta cultura, tante storie disseminate nel vento di questo popolo di aspro orgoglio e di forte generosità non siano (diventati) patrimonio, davvero fruibile, dell’umanità.
C’è tutta una Calabria ormai definitivamente scomparsa. E una parte, grande, della bellezza passata, è stata distrutta per sempre (da questo punto di vista l’editoriale di Galli Della Loggia scopre l’acqua calda) da un precario e discutibile sviluppo incapace sia di determinare ricchezza economica e buona qualità del vivere che di valorizzare tutto ciò che per secoli ha costituito la nostra storia, il nostro sforzo di andare avanti.
Eppure non tutta la bellezza è perduta. E qualcuno – questa è la meraviglia più felice della mia domenica ad Africo – ci prova, non solo a raccontarla ma rendere godibile ciò che resta.
Chi vorrà venire a stare qualche giorno dentro questa montagna di bellezza incomparabile, è bene, però, che lo sappia. Sarà un’esperienza intensa oltre ogni attesa: dopo Africo, il suo sguardo sul mondo non sarà più quello di prima.
Pubblicato su Zoomsud col titolo Africo Antica. Il miracolo della Calabria che non c'è più http://www.zoomsud.it/primopiano/38515-africo-antica-il-miracolo-della-calabria-che-non-ce-piu.html
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